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domenica 20 settembre 2015

La comunicazione digitale ? Non sempre è sinonimo di partecipazione.

Una società i cui membri sono sempre più connessi fra loro grazie alla tecnologia, è anche, per forza di cose, più inclusiva? La risposta, secondo Piero Dominici, professore universitario a Perugia e Madrid, e autore del saggio “Dentro la società interconnessa ” (Franco Angeli) non è necessariamente affermativa. La colpa di quello che è un fraintendimento molto comune – più digitale uguale più partecipazione – è della confusione che spesso si fa fra i concetti di comunicazione e connessione. 

In altre parole, come l’autore sottolinea, non è detto che a un aumento delle capacità comunicative, corrisponda un incremento delle opportunità relazionali. 
Il che ha conseguenze che vanno bel al di là di quanto suggerisce, su un livello molto terra terra, il semplice buon senso: che a una quantità ingente di “amici” su Facebook non corrisponde necessariamente una vita sociale piena. Traslata su un piano più elevato, la dicotomia non risolta fra comunicazione e connessione ha effetti negativi sul rapporto, per esempio, fra cittadini e pubblica amministrazione, o fra diversi gruppi sociali. 

Senza un’adeguata opera di alfabetizzazione digitale, e un’integrazione armoniosa dell’utilizzo dei nuovi strumenti con la capacità di analisi strutturata dei problemi (capacità che precede e va oltre la semplice fruizione da consumatore di dispositivi digitali), la sovrabbondanza di informazioni oggi disponibile, invece di rendere più simmetrici e meno sbilanciati i rapporti di potere fra i diversi soggetti, rischia di aumentare ancor più il divario. 

“Una parte sempre crescente della popolazione mondiale è in Rete (circa tre miliardi di persone n.d.r.) – dice Dominici – il problema è capire quanto questo influisca effettivamente sulla capacità di produrre ed elaborare conoscenza”. 
Un classico esempio, è quello della scuola digitale. Ad una prima adesione entusiasta e acritica all’applicazione di metodologie digitali all’apprendimento, è seguita ed è ancora in corso una riflessione più matura, e scettica verso la visione della tecnologia come panacea o bacchetta magica per supplire ad altre deficienze degli studenti. 

Anche lo stesso concetto di nativi digitali , che a lungo è stato adoperato come etichetta per le nuove generazioni, viene sempre meno utilizzato ed è stato almeno parzialmente smontato da riflessioni autorevoli come quella di Roberto Casati - direttore di ricerca del CNRS all’Institut Nicod a Parigi - in “Contro il colonialismo digitale”. 

In vari Paesi, fra cui l’Italia, è in crescita il fenomeno dell’analfabetismo funzionale, ossia “l’incapacità di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società ”. Colpa del digitale? No, questo Dominici non lo sostiene, rifiutando in maniera consapevole la trita dicotomia fra apocalittici ed integrati. 

La questione non è quella di essere pro o contro il digitale, ma come spiega l’autore, di non “cedere alla tentazione del determinismo tecnologico”, che spiega e giustifica tutto. Il computer, i tablet e gli smartphone sono strumenti fantastici, a patto di non delegare soltanto ad essi la formazione e l’acculturazione degli individui. Quello che conta, insomma non è solo il semplice accesso alle informazioni, ma la creazione di “teste ben fatte”, capaci di analisi critica e autocritica. 

sabato 19 settembre 2015

Una madre che sa mettere in riga il proprio figlio.



Non basta guadagnare qualche soldo per potersi considerare un adulto. Così come l'essere popolari su Internet non giustifica un comportamento arrogante. Una madre americana ha trovato un modo originale per insegnare questi due importanti concetti al figlio adolescente.
Il ragazzino si chiama Aaron e ha 13 anni. Da qualche tempo i suoi video su Youtube stanno ottenendo un certo successo e Aaron si stava montando la testa. Così, dopo essere stato rimproverato dalla madre Estella per averle mentito riguardo ai compiti, il 13enne ha scritto su Facebook che dal momento che ora sta facendo soldi sua madre non ha più il diritto di dirgli che cosa deve fare.
Cattiva idea. Estella ha visto il post del figlio e ha subito pensato a una maniera per fargli abbassare la cresta. Come ha riportato sulla sua bacheca social, la donna ha appeso sulla porta della camera del ragazzo una lettera mirata a dargli una lezione sull'essere responsabili, sul rispetto e sulla finanza. "Il bambino avrà un brusco risveglio oggi dopo quello che mi ha detto la scorsa notte", ha scritto Estella. "Non solo si ritroverà il letto senza lenzuola, ma gli confischerò anche i giocattoli e i vestiti che gli ho comprato". La mamma esordisce così:
Poiché sembra che hai dimenticato che hai solo 13 anni e che il genitore sono io e che ritieni di non dover essere controllato, penso che debba imparare una lezione sull'indipendenza. Inoltre, dal momento che mi hai rinfacciato che ora stai facendo soldi, ti sarà più facile ricomprarti tutti gli oggetti che ho acquistato per te in passato.
letter
La lettera include anche una sorta di contratto, con una lista dettagliata di tutto ciò che Aaron avrebbe dovuto pagare da quel momento in avanti. Tra cui: 430 dollari (380 euro) per l'affitto, 116 dollari (103 euro) per l'elettricità, 21 dollari (18 euro) per Internet e 150 dollari (133 euro) per il cibo.
Dovrai anche svuotare l'immondizia lunedì, mercoledì e venerdì così come spazzare per terra e passare l'aspirapolvere durante questi giorni. Dovrai pulire il bagno ogni settimana, prepararti i pasti e tenere pulita la tua roba. Se non fai quanto ti ho chiesto dovrai pagarmi 30 dollari (26 euro) ogni giorno in cui dovrò fare queste cose al posto tuo. Se invece deciderai di tornare a essere il mio bambino invece del mio coinquilino, allora possiamo rinegoziare i termini.
La donna ha poi raccontato che nei giorni successivi Aaron è diventato più rispettoso e ha iniziato a darsi da fare in casa. "Ho notato che sta provando a essere più coscienzioso... Tutto inizia con una luna di miele; quindi solo il tempo dirà se funziona davvero - Ma almeno per quanto riguarda questa settimana, le cose sono migliorate molto e ho alte aspettative".

Dormire a sufficienza per andare bene a scuola.

Dormire fa bene. Il nostro cervello ha bisogno di un certo numero di ore di sonno per essere pronto ad affrontare ogni nuova giornata. E se i ritmi della quotidianità civilizzata ci hanno portano a svegliarci presto, la scienza ha rivelato che se la scuola iniziasse dopo le 10 di mattina, gli studenti andrebbero meglio a scuola. E non è un fattore di pigrizia, semplicemente questione di chimica.

Paul Kelley è un esperto del sonno, lavora infatti allo Sleep and Circadian Neuroscience Institute at the University of Oxford ed è stato proprio lui a dichiarare che si perdono in media 10 ore di sonno a settimana. Per i ritmi a cui siamo abituati dormiamo poco o comunque non abbastanza, e nell'arco delle settimane si accumulano debiti di sonno che potrebbero essere benefici per la nostra salute mentale. Kelley, almeno per gli studenti, propone fasce d'orario differente per fare iniziare le lezioni. Se per i bambini tra gli 8 e i 10 anni l'inizio delle lezioni alle 8:30 va bene, per i ragazzi di 16 anni invece sarebbe meglio iniziare alle alle 10. L'esperto è sostenuto dalla scienza infatti, in base all'età il nostro corpo rilascia la melatonina, un ormone che stimola il sonno. Nei ragazzi di 16 anni questa continua ad essere prodotto anche nelle prime ore della mattina, quindi la stanchezza non è pigrizia ma un fattore chimico.

L'inizio delle lezioni è fissato in media alle 8 di mattina, insomma nulla di strano, bisogna solo adattarsi. Certo, alla fin fine la campanella suona presto per tutti, ma se non fosse così ci sarebbero dei vantaggi? Secondo Kelley, si. L'esperto del sonno è stato un dirigente scolastico, ha condotto uno studio pilota in cui ha dimostrato quanto sonno e rendimento scolastico siano direttamente proporzionali. L'ex dirigente per un certo periodo ha applicato nella sua scuola un orario di lezione diverso: campanella alle 10. Dopo diverso tempo con l'orario tra i banchi posticipato di un paio di ore ha registrato un rendimento migliore degli studenti coinvolti nella ricerca. Insomma, più sonno uguale voti migliori. Ma questo è stato solo un esperimento isolato.

Quindi se proprio non c'è un rimedio alla sveglia presto che probabilmente continuerà a suonare prima delle 10, almeno questa volta sapete con chi prendervela: la melatonina !

Carmine Zaccaro, Se gli studenti vanno male a scuola è tutta colpa della melatonina, "Huffington post", 15-09-15.