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domenica 25 gennaio 2015

Un'alunna molto particolare.

Priscilla Sitienei fa la quarta elementare e quando la maestra scrive alla lavagna le lettere dell’alfabeto, le osserva bene e le ricopia accuratamente sul suo quaderno con la matita. Proprio come gli altri bambini. Solo che Priscilla non è una bambina, ha 90 anni e tutti i compagni di classe la chiamano “Gogo”, che nella lingua locale significa “nonna”.

OSTETRICA PER 65 ANNI. Gogo vive nel villaggio di Ndalat, in Kenya, ha lavorato per 65 anni come ostetrica e molti dei suoi compagni di classe sono venuti alla luce grazie a lei. Entrata a scuola per la prima volta a 85 anni, oggi Gogo è l’alunna più anziana del mondo e ha scalzato nel Guinness dei primati il precedente record di Kimani Maruge, anche lui kenyano, che ha cominciato a studiare all’età di 84 anni ed è morto a 89.

«VORREI LEGGERE LA BIBBIA». Ma che cosa spinge una donna di 90 anni ad andare a scuola? «Ho sempre desiderato imparare a leggere e scrivere – racconta Gogo alla Bbc -, possibilità che non ho avuto da bambina. Mi piacerebbe essere in grado di leggere la Bibbia e vorrei essere motivo di ispirazione per gli altri bambini, perché ottengano un’educazione. Troppi ragazzi cresciuti non vanno a scuola. Alcuni hanno già a loro volta dei figli. Quando ne incontro qualcuno per strada mi dicono che sono troppo vecchi per la scuola. E io rispondo: “Beh, io però ci vado. E così dovreste fare anche voi”. Troppi di loro hanno perso i genitori e vagano per le strade, senza speranza. Voglio incoraggiarli a frequentare la scuola».

MIGLIORE AMICA DI 11 ANNI. In principio la Leaders Vision Preparatory School aveva respinto la sua richiesta di accettarla in classe ma poi, davanti alla sua insistenza, il preside David Kinyanjui si è convinto ad ammetterla. «Sono davvero orgoglioso – dichiara -, Gogo è una benedizione per la nostra scuola perché è amata dai suoi compagni di classe, tutti vogliono giocare e imparare da lei». La 90enne, del resto, non si tira mai indietro a prescindere dall’attività: non partecipa solo ai corsi di matematica o inglese, ma anche a quelli di canto, danza e recitazione. La migliore amica di Gogo, una bambina di 11 anni, è entusiasta: «Lei ci racconta tante storie». Un altro bambino aggiunge: «La adoriamo perché quando facciamo chiasso, ci dice di stare zitti».



A SCUOLA CON I PRO PRONIPOTI. Gogo ha molto da dare. Spesso riunisce i suoi compagni al di fuori della scuola e tramanda le usanze e i costumi tradizionali. Questo è un altro motivo per cui sta studiando: «Vorrei lasciare ai posteri le mie abilità come ostetrica maturate nel tempo. Vorrei anche tramandare una memoria scritta delle erbe medicinali che conosco». I suoi scritti potrebbero essere letti dai sei pro pronipoti che oggi frequentano la sua stessa scuola. «Voglio dire a tutti bambini del mondo, specie le bambine, che l’educazione sarà la loro ricchezza. Con l’educazione infatti puoi diventare tutto quello che vuoi: un medico, un avvocato o un pilota». E per imparare non è mai troppo tardi.


Stati Uniti: le professioni con le migliori opportunità di crescita.

Il Bureau of Labor Statistics statunitense ha pubblicato un elenco delle 20 occupazioni con la maggior crescita prevista entro il 2022.
Queste si riferiscono, ovviamente, al mercato del lavoro statunitense ma penso la lista fornisca utili indizi a chi sta pensando di cambiare carriera.
Il settore più rappresentato all’interno di questa graduatoria è quello della sanità.
Ciò rispecchia l’impatto che l’invecchiamento della popolazione avrà sull’economia e sul mercato del lavoro degli Stati Uniti.
La maggior parte delle nazioni sviluppate occidentali hanno caratteristiche demografiche simili e presentano quindi simili opportunità lavorative a medio termine.
Ho cercato di tradurre il titolo della professione ma per una migliore descrizione cliccate sulla stessa e troverete le pagine pertinenti del sito del Bureau of Labor Statistics.
Capirete meglio la definizione della professione; l’ambiente di lavoro all’interno del quale opera il professionista; come si fa a diventare un [professione]; il livello salariale; le prospettive di lavoro e le occupazioni simili a quella citata.
Ecco l’elenco delle 20 professioni con il tasso di crescita e il salario lordo medio annuale per il 2012.
OccupazioneTasso di Crescita 2012-2022Paga media annuale lorda 2012
Psicologi aziendali53% $       83,580
Assistenti alla cura della persona49% $       19,910
Assistenti alla cura della persona presso la loro abitazione48% $       20,820
Installatori isolamento termico47% $       39,170
Traduttori e interpreti46% $       45,430
Ecografisti46% $       65,860
Manovali (muratori, scalpellini ecc)43% $       28,220
Assistenti di terapia occupazionale43% $       53,240
Consulenti genetici41% $       56,800
Assistenti di terapia fisica41% $       52,160
Operatori di terapia fisica40% $       23,880
Specialisti di cura della pelle40% $       28,640
Assistenti medici38% $       90,930
Lastricatori38% $       33,720
Manovali (elettricisti)37% $       27,670
Analisti di sicurezza informazioni37% $       86,170
Operatori di terapia occupazionale36% $       26,850
Insegnanti di istruzione post- secondaria – discipline sanitarie36% $       81,140
Segretarie mediche36% $       31,350
Fisioterapisti36% $       79,860
E voi? State pensando di re-inventarvi?

sabato 24 gennaio 2015

Attenti alle epidemie.

Settanta casi di contagio tra sei Stati americani e il Messico. E’ il bilancio parziale dell’epidemia di morbillo che, da metà dicembre, sta mettendo a dura prova le autorità sanitarie degli Stati Uniti. Un’emergenza che sembra ricondurre a Disneyland: la maggior parte delle persone risultate positive alla malattia proviene infatti dalla California, bambini soprattutto, frequentatori del parco di divertimenti più famoso al mondo. In preponderanza si tratta di soggetti che non sono stati sottoposti alla vaccinazione Mmr, ovvero il siero contro morbillo, orecchioni e rosolia, e quindi più esposti al contagio. Ciò ha contribuito a diffondere una malattia che sembrava definitivamente debellata negli States già nel 2000, al contrario di quanto accade in alcune zone della Terra, assai depresse, dove persiste da decenni come patologia diffusa. 

I genitori anti-vaccino  
Solo nel 2014 i casi di contagio in Usa hanno registrato un’impennata a quota 644, contro la media di poco più di un centinaio registrata negli ultimi tre lustri. Un vero e proprio salto indietro nella storia, un fenomeno dovuto alla «negligenza» di alcuni genitori - spiega una parte di scienziati e dell’opinione pubblica - che ottengono esenzioni ad personam dall’obbligo di vaccinare i propri figli al momento dell’iscrizione a scuola. In parte perché alcune famiglie sono convinte che tali rimedi preventivi possano causare forme di autismo, ipotesi peraltro screditata da recenti studi, tengono a precisare diversi esperti. «Alcune persone sono incredibilmente egoiste, non vaccinano i figli per proprie convinzioni», spiega il dottor James Cherry, pediatra dell’Università della California. E anche per questo l’opinione pubblica, di recente, con l’appoggio di taluni media, ha criticato a più riprese il cosiddetto «movimento anti-vaccino»: «Il morbillo è stato vinto dalla medicina moderna, e casi come quello di Disneyland dimostrano come certi movimenti antiscientifici si basino sulla cieca ostinazione» dice il «Los Angeles Times» in un editoriale. Negli ultimi 5 anni tuttavia, il tasso di vaccinati negli asili del Golden State è rimasto pressoché stabile, poco oltre il 90 %. Barbara Loe Fisher, direttore del National Vaccine Information Center, organizzazione che si batte per la libertà di scelta sulle vaccinazioni dei figli, ha spiegato all’Ap che dell’epidemia «Disney» non sono responsabili i non vaccinati, dal momento che tra le persone colpite dal morbillo ce ne sono alcune che si sono sottoposte alle misure precauzionali. Questo tuttavia apre un altro confronto sulla effettiva efficacia dei vaccini, su cui si dibatte da tempo.  

Secondo gli esperti, in ogni caso, ad innescare l’epidemia sarebbero state alcune persone provenienti dall’estero che già avevano contratto il virus. Essendo Disneyland una delle mete turistiche più visitate degli Usa e del mondo, è un ottimale diffusore di malattie, specie per la presenza di un elevato numero di bambini troppo piccoli per essere vaccinati, o di mamme incinte che non possono sottoporsi alla profilassi. Così da Disneyland, il virus si è propagato verso l’esterno, contagiando anche 5 dipendenti del parco. Per far fronte alla crisi, ai non vaccinati è stato chiesto di non avvicinarsi al parco, mentre il personale senza vaccino è stato messo in ferie pagate. In alcune scuole californiane si è chiesto di far rimanere a casa i bambini a rischio per tre settimane, periodo di incubazione della malattia. In alcuni casi si è arrivati all’isolamento, come per 30 bimbi di Alameda County, il che ha sollevato molte proteste.   

Francesco Semprini, Usa, emergenza morbillo: l'epidemia nata a Disneyland, "La Stampa", 24-01-15.

mercoledì 21 gennaio 2015

Un ragazzo da lodare.

«Da bambino ero considerato una schiappa, da adolescente sono passato direttamente ad occupare il ruolo dello sfigato: in effetti sono oggettivamente bruttino, odio ogni tipo di sport e la timidezza mi ingabbia da sempre. Però sopravvivo, grazie a due straordinari salvagente: la consapevolezza e i libri».  
Non indossa alcuna maschera mentre ti parla di sé, davanti ad un computer in cui scorrono tutti i fanta-nomi dei suoi profili digitali: Marco, Vanessa, Giovanni, Ester, Mario, Luca, Giada... Accompagnati da icone a volte insipide e insignificanti, altre volte colorate e spiazzanti.  
Vive in una grande città del Nord, ha 19 anni e frequenta la quinta in un liceo delle Scienze umane . «Non voglio farmi riconoscere, non è ancora il momento di uscire allo scoperto: non ho paura a svelare chi sono ma ho il giustificato timore che poi non seguirebbero più i miei consigli». Sì, perché lo studente «senza nome» ha trovato nei social network lo strumento per farsi ascoltare. E, soprattutto, per dare consigli di lettura ai coetanei. «Sono un appassionato di letteratura, divoro libri da sempre, sono stati il mio rifugio: una passione difficile da condividere se già sei etichettato come il secchione. Così ho deciso di sfruttare le potenzialità della rete: mi sono inventato decine di finti profili su Facebook, attraverso i quali interagire con vecchi e nuovi compagni e amici e instaurare dialoghi finalizzati al diffondere il piacere del leggere e al suggerimento di un buon titolo».  
Da Camilleri a Verga, da «Il cardellino» ad «Harry Potter», da Salinger a Saramago: la biblioteca del «Personal booker 2.0» non si pone confini: quello che cerca di fare è scambiare un paio di battute in chat con l’interlocutore, farne un rapido identikit e, senza che l’altro se n’accorga, buttargli lì l’idea di sfogliare proprio quel volume. Con decine di contatti diversi ogni giorno. Per poi sparire e cambiare subito identità. «Sì, lo so: il mio è un gioco apparentemente un po’ sporco, ma non sto ingannando nessuno: non voglio vendere un’immagine diversa dalla mia, voglio solo che i ragazzi della mia età possano riscoprire il godimento che può trasmetterti un libro. Per vincere la timidezza e uscire dall’anonimato c’è tempo e ci sono altre strade: ma quello è un romanzo ancora tutto da scrivere».  

Federico Taddia, B come book, "La Stampa", 11-01-15.

lunedì 19 gennaio 2015

Quali limiti alla libertà di espressione ?

Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio fra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. Un uomo politico che voglia realizzare, nell’interesse del suo paese, una qualche opera importante, si trova costretto a procedere a passi prudenti e perfino timidi, assillato da migliaia di critiche affrettate (e irresponsabili) e bersagliato com’è dalla stampa e dal Parlamento. Deve giustificare ogni passo che fa e dimostrarne l’assoluta rettitudine. Di fatto è escluso che un uomo fuori dall’ordinario, un grande uomo che si riprometta di prendere delle iniziative insolite e inattese, possa mai dimostrare ciò di cui è capace: riceverebbe tanti di quegli sgambetti da doverci rinunciare fin dall’inizio. Ed è così che col pretesto di controllo democratico si assicura il trionfo della mediocrità.

Per contro è cosa facilissima scalzare l’autorità dell’Amministrazione, e in tutti i paesi occidentali i poteri pubblici sono considerevolmente indeboliti. la difesa dei diritti del singolo giunge a tali eccessi che la stessa società si trova disarmata davanti a certi suoi membri: è giunto decisamente il momento per l’Occidente di affermare non tanto i diritti della gente, quanto i suoi doveri.
Al contrario la libertà di fare il bene, la libertà di distruggere, la libertà dell’irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d’azione. La società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro ‘utilizzazione della libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch’esso una libertà, il cui contrappeso teorico è la libertà per i giovani di non andarli a vedere. Così la vita basata sul giuridismo si rivela incapace di difendere perfino se stessa contro il male e se ne lascia poco a poco divorare.
E che dire degli oscuri spazi in cui si muove la criminalità vera e propria? L’ampiezza dei limiti giuridici (specialmente in America) costituisce per l’individuo non solo un incoraggiamento a esercitare la sua libertà ma anche un incoraggiamento a commettere certi crimini, poiché offre al criminale la possibilità di sfuggire al castigo o di beneficiare di un’immeritata indulgenza, grazie magari al sostegno di un migliaio di voci che si leveranno in suo favore. E quando in un paese i poteri pubblici affrontano con durezza il terrorismo e si prefiggono di sradicarlo, l’opinione pubblica li accusa immediatamente di aver calpestato i diritti civili dei banditi. Ci sono al riguardo numerosi esempi.
La libertà non ha così deviato verso il male in un colpo solo, c’è stata un’evoluzione graduale, ma credo si possa affermare che il punto di partenza sia stato la filantropica concezione umanistica per la quale l’uomo, padrone del mondo, non porta in sé alcun germe del male, e tutto ciò che vi è di viziato nella nostra esistenza deriva unicamente da sistemi sociali erronei che è importante appunto correggere. Che strano però:l’Occidente, dove le condizioni sociali sono le migliori, presenta una criminalità indiscutibilmente elevata e decisamente più forte nel nell’Unione Sovietica, con tutta la sua miseria e il disprezzo della legge. (Da noi, nei campi di lavoro, ci sono moltissimi detenuti definiti comuni, che in realtà, nella stragrande maggioranza, non sono affatto criminali, ma gente che ha cercato di difendersi con mezzi non giuridici contro uno Stato senza legge)
Anche la stampa (uso il termine “stampa” per designare tutti i mass media) gode naturalmente della massima libertà. ma come la usa?
Lo sappiamo già: guardandosi bene dall’oltrepassare i limiti giuridici ma senza alcuna vera responsabilità morale se snatura i fatti e deforma le proporzioni. Un giornalista e il suo giornale sono veramente responsabili davanti ai loro lettori o davanti alla storia? Se, fornendo informazioni false o conclusioni erronee, capita loro di indurre in errore l’opinione pubblica o addirittura di far compiere un passo falso a tutto lo Stato, li si vede mai dichiarare pubblicamente la loro colpa? No, naturalmente, perché questo nuocerebbe alle vendite. In casi del genere lo Stato può anche lasciarci le penne, ma il giornalista ne esce sempre pulito. Anzi, potete giurarci che si metterà a scrivere con rinnovato sussiego il contrario di ciò che affermava prima.
La necessità di dare una informazione immediata e che insieme appaia autorevole costringe a riempire le lacune con delle congetture, a riportare voci e supposizioni che in seguito non verranno mai smentite e si sedimenteranno nella memoria delle masse. Quanti giudizi affrettati, temerari, presuntuosi ed erronei confondono ogni giorno il cervello di lettori e ascoltatori e vi si fissano! la stampa ha il potere di contraffare l’opinione pubblica e anche quello di pervertirla. Così, la vediamo coronare i terroristi del lauro di Erostato, svelare perfino i segreti della difesa del proprio paese, violare impunemente la vita privata delle celebrità al grido «Tutti hanno il diritto di sapere tutto» (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n’è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l’uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affato bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti).
È nella stampa che si manifestano, più che altrove, quella superficialità e quella fretta che costituiscono la malattia mentale del XX secolo. Penetrare in profondità i problemi è controindicato, non è nella sua natura, essa si limita ad afferrare al volo qualche elemento di effetto.
E, con tutto questo, la stampa è diventata la forza più importante degli Stati occidentali, essa supera per potenza i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma chiediamoci un momento: in virtù di quale legge è stata eletta e a chi rende conto del suo operato? Se nell’Est comunista un giornalista viene apertamente designato dall’alto come ogni altro funzionario statale, chi sono gli elettori cui i giornalisti occidentali devono invece la posizione di potere che occupano? E per quanto tempo la occupano? E con quale mandato?
E infine c’è un altro tratto inatteso per un uomo che proviene dall’Est totalitario, dove la stampa è rigidamente unificata: se si considera la stampa occidentale nel suo insieme, si scopre che anch’essa presenta degli orientamenti uniformi, nella stessa direzione (quella del vento del secolo), dei giudizi mantenuti entro determinati limiti accettati da tutti e forse anche degli interessi corporativi comuni, e tutto ciò ha per risultato non la concorrenza ma una certa unificazione. E se la stampa gode di una libertà senza freno, non si può dire altrettanto dei suoi lettori: infatti i giornali danno rilievo risonanza soltanto a quelle opinioni che non sono troppo in contraddizione con quelle dei giornali stessi e della tendenza generale della stampa di cui si è detto.
In Occidente, anche senza bisogno della censura, viene operata una puntigliosa selezione che separa le idee alla moda da quelle che non lo sono, e benché queste ultime non vengano colpite da alcun esplicito divieto, non hanno la possibilità di esprimersi veramente né nella stampa periodica, né in un libro, né da alcuna cattedra universitaria. Lo spirito dei vostri ricercatori è si libero, giuridicamente, ma in realtà impedito dagli idoli del pensiero alla moda. senza che ci sia, come all’Est, un’aperta violenza, quella selezione operata dalla mode, questa necessità di conformare ogni cosa a dei modelli standardizzati, impediscono ai pensatori più originali e indipendenti di apportare il loro contributo alla vita pubblica e determinano il manifestarsi di un pericoloso spirito gregario che è di ostacolo a qualsiasi sviluppo degno di questo nome. Da quando sono in America, ho ricevuto lettere da persone straordinariamente intelligenti, ad esempio da un certo professore di un college sperduto in una remota provincia, che potrebbe davvero fare molto per rinnovare e salvare il suo paese: ma il paese non potrà mai sentirlo perché i media non lo appoggiano. Ed è così che i pregiudizi si radicano nelle masse, che la cecità colpisce un intero paese, con conseguenze che nel nostro secolo dinamico possono risultare assai pericolose.
Prendiamo ad esempio l’illusoria rappresentazione che si ha dell’attuale situazione del mondo: essa forma attorno alle teste una corazza così dura che nessuna delle voci che ci provengono da 17 paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia orientale riesce ad attraversarla, in attesa che l’implacabile maglio degli eventi la faccia volare in mille pezzi.

giovedì 15 gennaio 2015

Libri di testo usati ? Adesso si comprano e si vendono in rete.

L’idea è semplice: far diventare telematica la vendita dei libri di testo usati. Quelle pagine lette e rilette e alla fine pure un po’ odiate, a volte perfette o quasi, nonostante l’usura, altre sottolineate, scarabocchiate nei momenti di noia, con scritte che a rileggerle anni dopo fanno sorridere o di cui non si riesce più a ricordare il significato. Qualcuno non penserebbe mai di separarsi dai volumi della scuola, nemmeno sapendo che non li riaprirà mai più. Altri sì, un po’ per svuotare la libreria un po’ per mettere insieme due soldi che quando sei uno studente non guastano mai.  

Arianna Cortese, 19 anni, di Torino, ha pensato a loro. E a tutti quei ragazzi che, acquistando di seconda mano, provano a far risparmiare mamma e papà. «Stavo preparando l’esame di maturità. La mia camera era piena di testi di tante materie che non avrei più utilizzato. Ma per venderli devi fare ore e ore di coda davanti alle librerie che magari poi non li ritirano nemmeno oppure ti danno il 25 per cento del prezzo di copertina. Una miseria. E così mi sono detta: perché non lanciare una piattaforma online per velocizzare le cose e guadagnarci un po’ di più?».  

Facile, appunto. Ma almeno all’inizio il progetto sembrava destinato a rimanere soltanto un sogno. «Poi ne ho parlato a dei miei compagni di classe e tutti erano molto interessati all’idea. Allora mi sono messa al lavoro». 
Mentre stava completando le pratiche per iscriversi a Giurisprudenza, Arianna ha chiesto aiuto a due amici informatici che hanno curato la parte tecnica del sito e ha trovato anche il sostegno di un paio di finanziatori privati. Così, a settembre è nato il portale «Pick my book». Meno di un mese dopo il gruppo ha lanciato le app per iOS e Android. In qualche settimana sono stati caricati sul suo database 10mila volumi: libri di testo ma non solo. Il sito funziona per qualsiasi tipo di pubblicazione. E già si contano quasi 5mila iscritti al servizio. «Per poter mettere in vendita i propri volumi occorre registrarsi indicando lo stato del libro. Se buono, usato o molto usato. Chiediamo anche di scattare delle fotografie di tre pagine a campione per dimostrare che non ci siano pagine rovinate, scritte e orecchie. E poi, ovviamente il prezzo». 

Quando un utente è interessato, Pick my book gli permette di mettersi in contatto con il venditore - geolocalizzato con indicazione della distanza - via chat per definire l’affare. Ma niente carte di credito e possibilità di spedizione direttamente a domicilio. Lo scambio avviene di persona. «Vogliamo avere anche una finalità sociale. E cioè dare la possibilità a chi acquista un libro di conoscere chi glielo ha venduto. Spesso si tratta di ragazzi quasi coetanei, con gli stessi interessi e problemi. È un modo per fare amicizia». Della serie: dalla realtà virtuale a quella concreta.  

Ma, visto che gli iscritti al portale provengono da tutta Italia, il team di Pick my book non esclude di lanciare un sistema di spedizione. Così come di studiare un business plan, per fare diventare il servizio una impresa vera. Per il momento, infatti, la compravendita è gratuita. Percentuali sull’incasso da destinare al sito? Non ce ne sono. «Vedremo se il servizio funziona. Per il momento siamo soddisfatti, ma la decisione di richiedere una quota sul venduto è ancora molto lontana da venire» assicura Cortese. Così come l’idea di diventare una business woman a tempo pieno. «L’obiettivo è portare avanti gli studi ma visto che oggi tutto è incerto e precario è importante avere un piano B. E il mio si chiama Pick my book».  

Lorenza Castagneri, Pick my Book, la seconda vita dei libri, "La Stampa", 12-01-15. 

mercoledì 14 gennaio 2015

Una Preside saggia.

Con tutta l'apertura di credito nei confronti dello studente (presentato da molti come un bravo ragazzo), è ragionevole accogliere la decisione della Preside non soltanto come opportuna, ma addirittura doverosa.  
I giovani hanno il diritto di essere stravaganti (nei limiti consentiti) , ma le istituzioni hanno l'obbligo di far rispettare quelle norme senza le quali ogni società è destinata a sfasciarsi.

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“O si taglia i capelli rasta, o non può entrare a scuola”. Ha “violato” il regolamento scolastico presentandosi all’ingresso del suo istituto, l’istituto alberghiero di Riccione, al ritorno dalle vacanze di Natale, con i cosiddetti dreadlocks e perciò non è stato ammesso alle lezioni. Massimiliano, 16 anni, è stato così costretto a rimanere a casa per via della sua pettinatura: “Una discriminazione” dice la famiglia. “I rasta – spiega la preside della scuola Daniela Casadei, che ha deciso il provvedimento – sono contrari alle norme igienico sanitarie della scuola. Perciò Massimiliano non potrà riprendere a frequentare né la cucina, né i laboratori finché non si taglierà i capelli”. Cucina e laboratori rappresentano la gran parte delle lezioni dell’alberghiero romagnolo.
Secondo Casadei, infatti, a bandire i rasta dalla scuola sarebbe l’articolo 26 del regolamento interno, “firmato – precisa – da tutti i genitori degli studenti a inizio anno scolastico”: “Nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e delle abitudini dei diversi settori gli allievi sono tenuti a indossare un abbigliamento decoroso, curato e ordinato. Sono quindi da evitare abbigliamenti, acconciature, accessori e trucchi particolari che possano contravvenire a queste norme”. Di dreadlocks come quelli di Massimiliano, iscritto al corso di operatore della ristorazione finanziato dalla Regione Emilia Romagna, nel regolamento non si parla esplicitamente, tuttavia, per la dirigente scolastica, “non sono decorosi, né tantomeno igienici. Mi dicono che si possano lavare, ma a mio parere rimangono sporchi e sono sempre arruffati. Prima di Natale Massimiliano portava i capelli lunghi, però li teneva sempre in ordine, ora invece sono ingestibili”. In più, critica la preside dello Ial, “è anche una questione di estetica: immaginatevi un ragazzo in giacca e cravatta, ma con i rasta. E’ indecoroso”.

sabato 10 gennaio 2015

Gli studenti conoscono i loro veri diritti ?

Gira sul web una vignetta del disegnatore Emmanuel Chaunu che illustra in modo ironico – ma efficace - come siano cambiate le relazioni nella scuola. Due scene: nella prima, datata 1969, i genitori strigliano il figlio, terrorizzato, davanti all’insegnante che sogghigna; nella seconda, anno 2009, la scena è analoga, ma è l’allievo che gongola mentre i genitori si scagliano contro l’insegnante. I tempi cambiano e, per molti, peggiorano. Ma, vista dagli studenti, l’ironia sulla presunta degenerazione dei costumi si presta a un’altra lettura.  

«La fiducia nell’istituzione scolastica è andata calando, e se prima si credeva senza il beneficio del dubbio negli insegnanti, ora si è molto diffidenti»: ad affermarlo è Alex Menietti, che sedeva sui banchi fino a pochi anni fa e ora è autore di un libro scaricabile gratuitamente on line, «I diritti degli studenti della scuola superiore». E’ una guida che spiega e analizza i regolamenti, gli statuti, e le leggi con cui, sempre più spesso, è intervenuto lo Stato a mettere ordine in una realtà fatta di relazioni sempre più complesse. E anche per questo il volume è firmato con la giurista Elena Lauretti, esperta di diritto scolastico, con una prefazione a cura del professore Luca Piergiovanni, autore del progetto di podcast educativi Chocolat 3b - premiato con la medaglia d’argento del Presidente della Repubblica. 

Autotutela?  
Alex, 26 anni, nel 2004 era rappresentante degli studenti all’istituto per geometri Cena di Ivrea (To). Il suo nome finì nelle cronache nazionali perché difese una quarantina di ragazzi che rivendicava il diritto ad avere il crocifisso in classe, sfidando l’insegnante di italiano che l’aveva staccato dalla parete. Da quella prima battaglia, non ha mai smesso di occuparsi di diritti e doveri degli studenti, nemmeno dopo le superiori, quando ha iniziato a collaborare con il sitowww.skuola.net offrendo consulenza agli ex colleghi.  

Nessun dubbio che il giovane Alex sia animato da senso di giustizia e autentica passione civile; viene semmai da chiedersi se lo siano anche gli studenti che a lui si rivolgono. Davvero sono sempre più informati sui loro diritti solo per autotutela? Questa nuova consapevolezza non nasce forse anche dalla ricerca di un’arma in più per la caccia ad alibi e scorciatoie? Menietti assicura il contrario: «I ragazzi che si interessano di diritti sono quasi sempre gli studenti più volenterosi e impegnati». Ma la migliore testimonianza sull’esigenza reale a cui il testo risponde arriva dalla domanda più frequente che Menietti si sente rivolgere: il contributo scolastico (la sovrattassa che quasi tutti i licei applicano agli studenti a inizio anno, soprattutto per finanziare le attività aggiuntive) è obbligatorio? «Non è obbligatorio - spiega Menietti - si tratta di una donazione liberale, diversa dalla tassa di iscrizione, il ministero lo ha già ribadito con due circolari. Nonostante questo, c’è chi continua a esigerlo come tassa: l’ultimo caso che mi è stato segnalato riguarda una scuola in Toscana dove il preside non consente di andare in gita scolastica agli studenti che non l’hanno versato. A Monza, era successo che a due ragazzi non volessero mostrare i voti in pagella finché non avessero pagato il contributo». 

Leggende scolastiche  
Non mancano risposte a questioni più pratiche su cui circolano strane leggende: no, ahimè, nessuna legge prevede che una verifica in cui tutta la classe ha avuto l’insufficienza possa essere annullata e ripetuta. Il libro non si ferma alle questioni di diritto ma fornisce strumenti perché la classe studentesca sia meno credulona e manipolabile, più «sgamata», come direbbero i ragazzi: un prezioso capitolo sulle bufale on line insegna a riconoscerle e smascherarle prima di indire manifestazioni e occupazioni: l’ex ministro dell’istruzione Gelmini non ha mai voluto abolire le vacanze scolastiche, né l’attuale ministro Giannini ha mai annunciato che abolirà l’educazione fisica.  

E che cosa dice oggi la legge sul crocifisso, da cui è nato tutto il percorso che ha portato al libro? «L’ultima parola - spiega Menietti - l’ha detta nel 2011 la Corte Europea, che si è espressa a favore della “possibilità” di affissione del crocifisso, che “non esprime soltanto un significato religioso, ma anche identitario, [...], frutto e simbolo dell’evoluzione storica della comunità italiana”».  

Paola Italiano, Anche per gli studenti c'è un codice dei diritti, "La Stampa", 5-01-15.

giovedì 8 gennaio 2015

La vera 'buona scuola'.

Studenti che danno gratuitamente lezioni ad altri studenti, per aiutarli a recuperare le lezioni di latino e matematica e impedire che vengano bocciati: è stata questa la ricetta di successo del liceo statale di scienze umane “Pertini” di Genova. Un progetto di tutoraggio svolto al pomeriggio, dopo le regolari lezioni, ribattezzato “Materie all’opera”, che ha permesso a 311 studenti su 774 non solo di superare interrogazioni e compiti in classe, ma soprattutto «di ritrovare passione per lo studio e per la scuola» spiega a tempi.it Elisabetta Battista, docente di Scienze umane dell’istituto ligure e artefice del progetto. La professoressa e le persone coinvolte nel progetto hanno svolto uno studio che permette di capire meglio il senso di “Materie all’opera”: fino al 2013, l’anno precedente all’istituzione del “tutoraggio autogestito” degli studenti, il 51 per cento degli iscritti al liceo prendeva lezioni private (la maggioranza almeno due ore alla settimana), con una spesa complessiva, che ricadeva sulle famiglie, di 322 mila euro. Le 1.017 ore di recupero svolte con “Materie all’opera” hanno permesso di risparmiare gran parte di quella somma.

IL “PRIMINO” FAN DI SPINOZA. Al progetto hanno collaborato 24 studenti come tutor, 91 come “tutee” (i destinatari delle lezioni) e altri 72 ragazzi che hanno fatto sia da “insegnanti” che da studenti: alunni di tutte le età, dal primo al quinto anno di liceo. «Le materie più richieste sono state matematica, latino, storia e inglese. Si sono ridotte dell’8 per cento le bocciature e dell’11 per cento i debiti formativi: un risultato inaspettato dato che la scuola era in crescita» racconta ancora Battista. «Non necessariamente i più grandi davano le lezioni ai più piccoli. Si è lavorato molto anche attraverso la capacità e le passioni di chi si proponeva come tutor. E sono successi vari fatti che hanno colpito molto noi stessi insegnanti». La professoressa cita l’esempio di «Moreno, 14 anni, appassionato di filosofia, in particolare di Spinoza, che ha dato lezioni a una compagna di quinta, Noemi, che aveva chiesto aiuto per prepararsi alle interrogazioni. Lei è uscita dal laboratorio di tutoraggio felice: “Ho capito finalmente Spinoza”. In effetti l’interrogazione poi è andata bene».

LA RISCOPERTA DELLA SCUOLA. Battista sottolinea che con questo progetto di tutoraggio, uno dei primi se non l’unico nella scuola statale italiana, «abbiamo dato una chance a ragazzi che non erano nella possibilità economica di pagarsi delle lezioni private, e che rischiavano di essere bocciati. Ma è servito soprattutto per riscoprire la scuola come un luogo di riferimento. Sono stati diversi gli studenti pronti ad abbandonare gli studi, nel cosiddetto fenomeno della “dispersione scolastica” che segue a varie bocciature. Invece il fatto di ritrovarsi ad imparare, e di farlo insieme ad altri coetanei, è servito a creare una piccola comunità».

PROFESSORI GELOSI. Non da tutti però il progetto è stato compreso, nemmeno da molti degli stessi docenti del liceo Pertini. Racconta Battista: «Abbiamo dovuto tenere anonimi i ragazzi che si erano prestati a fare da tutor. A volte, addirittura, se passava qualche collega nei dintorni, li abbiamo dovuti nascondere in biblioteca, perché non fossero visti. Se i loro professori scoprivano che venivano a studiare a scuola e davano lezioni ad altri alunni, l’indomani li interrogavano spremendoli. Spesso ho sentito colleghi borbottare contro i tutor, che per alcuni miei colleghi venivano a scuola solo a “pascolare”». La professoressa lo chiama «il paradosso della scuola»: alcuni colleghi, spiega, «si sentivano defraudati del loro ruolo. Non comprendevano che i ragazzi che partecipano al progetto non si sostituiscono affatto agli insegnanti. Aiutano semplicemente i coetanei a ritrovare un metodo di studio personale, facendo leva su una “lingua comune” degli adolescenti, fatta anche di passione. Ecco cos’è “Materie all’opera”».
Quest’anno il progetto si ripete. Si chiama Di.sco.lo, e finalmente altri docenti si sono voluti avvicinare: è stato creato uno “sportello” per i tutor, che avranno a loro disposizione anche insegnanti di tutte le materie, disponibili a dare consigli.


IL MAESTRO E GLI “SCARTI”. «È stata un’esperienza didattica e umana affascinante», racconta Battista. E tutto è nato da un’idea, prosegue, che le è venuta in mente tra i banchi di scuola. «L’anno scorso quattro alunni di quinta hanno improvvisamente deciso di mollare. Io allora ho raccontato loro due storie realmente accadute a Bari, la mia città di provenzienza. Una era quella di un maestro elementare. Dopo 50 anni i suoi vecchi studenti lo avevano cercato perché sentivano il desiderio di rivederlo. Ne abbiamo parlato in classe, i ragazzi si sono molto interrogati sul perché quegli alunni dopo mezzo secolo cercassero il loro maestro di prima elementare. Così ho iniziato a lavorare con i miei quattro alunni, abbiamo fatto una ricerca storica tra materiali d’archivio e interviste. I ragazzi hanno intervistato questi ex studenti, che hanno spiegato che la loro classe, nel 1959, era considerata quella degli “scarti”, perché tutti loro erano bambini di famiglie povere destinati a lavorare nei campi. Quel maestro era stato l’unico, nella loro vita, a trattarli con dignità, anche se per un solo anno, perché poi era stato trasferito. Ecco perché lo avevano cercato. I miei alunni hanno proseguito gli studi, ma hanno anche voluto approfondire il lavoro insieme a me, hanno steso un romanzo storico. Poi quel testo è diventato un musical in cui hanno recitato anche altri studenti. Due settimane fa lo abbiamo messo in scena per la prima volta al carcere Marassi di Genova. Volevo che i miei alunni vivessero l’esperienza di andare oltre i pregiudizi: così hanno incontrato il direttore del carcere, si sono trovati a fare le prove generali a Marassi. Hanno conosciuto persone andando al di là di quello che avevano fatto e del perché fossero detenute. Una di quei primi quattro studenti, Giulia, anche se iscritta all’università ha voluto aiutarmi nel progetto di tutoraggio. Lo fa con passione».

«IN DEBITO CON I MIEI STUDENTI». Lo stesso amore per la scuola che Battista vive in prima persona. «Svolgere delle attività extrascolastiche del genere succhia molte energie. Spesso ho dovuto mettere in secondo piano anche la mia famiglia. Perché lo faccio? Anche io come Giulia, quando ero adolescente, ho vissuto un momento di crisi. Un’insegnante illuminata mi ha preso per mano e mi ha fatto scoprire quanto sia bella la scuola, o almeno un certo modo di fare scuola. È come se avessi un debito perenne nei suoi confronti. Inoltre ho avuto un grosso problema di salute, qualche anno fa. Non camminavo più. Chi mi ha presa letteralmente in braccio tra le corsie di un ospedale e mi ha fatto tornare a camminare sono stati alcuni miei ex alunni: questo è un altro grande debito che vorrei colmare».


sabato 3 gennaio 2015

Sentenza esemplare contro i bulli.

Barga (Lucca), 2 gennaio 2015 - Insulti a sfondo sessuale e razziale, spintoni e intimidazioni. Cinque bulli contro un loro compagno. Ma ora per la baby-gang c'è una pena: "condannati" dal tribunale dei Minori a studiare, ad avere buoni voti e a rincasare entro le 20, all'ora di cena. Saranno i servizi sociali a seguire il loro "ravvedimento". È accaduto tra Lucca, Barga, Capannori e Porcari all'inizio dell'anno scolastico.
Teatro degli atti di bullismo l'autobus che portava tutti i giorni i ragazzi a scuola, all'istituto alberghiero di Barga. I cinque - tra i 15 e i 17 anni, residenti a Capannori e a Porcari - avevano preso di mira un loro coetaneo, un sedicenne albanese che vive con la famiglia alla periferia di Lucca. Una volta saliti, costringevano il ragazzino a stare in piedi, lo offendevano. E, ancora, spinte, insulti, anche nei confronti dei genitori. I maltrattamenti andavano avanti da un po'. Tra i compagni si era diffuso il timore di finire bersaglio della gang: così nessuno interveniva e chi aveva tentato di farlo era stato minacciato.
Il sedicenne soffriva in silenzio, come fanno spesso i ragazzi, vergognandosi di non riuscire a reagire. Pare che il suo rendimento scolastico fosse calato e lui fosse sul punto di interrompere gli studi pur di sottrarsi alla violenza del gruppetto. Ma i genitori si sono accorti che qualcosa non andava e sono riusciti a farlo parlare. Da lì è scattata la segnalazione ai carabinieri che hanno denunciato i cinque ragazzi per stalking.
A metà dicembre il tribunale dei Minori di Firenze, su richiesta della Procura, aveva disposto la "permanenza in casa", una misura simile agli arresti domiciliari utilizzata nei confronti dei maggiorenni. Ora, il nuovo provvedimento: se i ragazzini non rispetteranno le indicazioni del tribunale potrebbero essere nuovamente messi ai "domiciliari".
Non è la prima volta che in Italia si sperimentano misure con scopo rieducativo per combattere il bullismo. Tra i più curiosi, il caso di due studenti bulli di un istituto professionale di Alba (Cuneo), costretti a restare in mutande per quasi un'ora nell'ufficio del preside. O quello dei due ragazzini di 15 e 16 anni di Bassano del Grappa, accusati di rapina ed estorsione nei confronti di alcuni coetanei, che sono stati condannati dal tribunale dei Minori di Mestre a fare volontariato, ad andare a messa tutte le domeniche, ad ottenere ottimi voti a scuola oltre a scusarsi con le vittime.

Bulli condannati a studiare, avere buoni voti e tornare presto a casa, "La Nazione", 2-01-15.


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Questa sentenza è particolarmente importante perché conferma ancora una volta che la scuola ha il diritto-dovere di stroncare nel modo più rigoroso anche quei comportamenti delinquenziali  -e comunque illeciti-  che si verificano al di fuori dell'istituto.