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mercoledì 30 aprile 2014

La crisi della democrazia è irreversibile ?

La democrazia se la passa male. E’ davvero entrata in una fase calante? E perché è sempre più disprezzata, specialmente da coloro che vivono in paesi democratici e ne godono le libertà? Proviamo a ragionare disordinatamente su alcuni aspetti.
Anzitutto, esiste una democrazia reale e una democrazia ideale. La seconda è quella cui ogni paese democratico dovrebbe tendere, costantemente aggiornando le proprie istituzioni in modo da favorire inclusione e partecipazione alla vita civile, oltre che equilibrio tra i poteri in reciproco controllo. Il voto, massima espressione della democrazia, da solo non vale granché se manca la volontà di tenere al guinzaglio la bestia del despotismo: concentrazioni di potere politico o economico nelle mani di singole persone o ristretti gruppi non sono certo la democrazia cui è lecito aspirare. Ecco perché regimi come la Russial’Egitto, la Turchia, il Venezuela, non rientrano a pieno titolo nella categoria delle “democrazie” Essi sono ibridi necessari, in alcuni casi, a guidare paesi in momenti di transizione o frutto di particolari condizioni economiche e geopolitiche.
Il caso della Russia è assai interessante. Il regime di “democrazia controllata“, di fatto un despotismo soft, fa proseliti tra i cittadini dell’Europa delle democrazie liberali e in molti guardano a Mosca come a un modello di stabilità e sviluppo economico. Certo, mancano le tutele a molti diritti (politici, come la libera associazione partitica; sociali, come un un welfare state sviluppato e paritario; civili, come la libertà di autodeterminazione per molte minoranze) ma – dicono i sostenitori – non mancano anche nella “libera” Europa o persino negli Stati Uniti? Insomma, l’arroganza con cui il cosiddetto “occidente” ha sempre guardato al resto del mondo sta venendo punita dai suoi stessi cittadini: la democrazia ha perso il suo appeal, perché?
Forse l’emergere di potenze, come la Russia e soprattutto la Cina, in cui il benessere è in aumento malgrado il potere politico non sia democratico né liberale. La dottrina del partito unico cinese insegna come “la democrazia sia troppo complicata e troppo superficiale e permette ai politici di ingannare il popolo”, meglio un ferreo controllo delle attività economiche, politiche e sociali poiché “i valori democratici portano le società nel caos”.
La crisi economica ha profondamente danneggiato l’immagine della democrazia mettendone a nudo la fondamentale debolezza nel garantire equità e distribuzione delle ricchezze: così mentre a milioni perdono il lavoro, la corruzione politica e la forbice degli stipendi si allarga rendendo più ricchi chi già era ricco, e più povero chi si è trovato in una situazione di povertà. La mancanza, in molti casi, di ammortizzatori sociali, il collasso del modello economico neoliberista (quello che alcuni, a sinistra, hanno chiamato “finanz-capitalismo”) ha scosso alle radici il consenso verso la democrazia.
Più indietro nel tempo, la guerra in Iraq ha segnato un passaggio fondamentale della crisi della democrazia che stiamo vivendo: nel 2003 il presidente americano Bush giustificò l’invasione dell’Iraq come una battaglia per la libertà e la democrazia. Non era solo mero opportunismo, la leadership americana credeva davvero che il Medio Oriente sarebbe sempre stato un covo per terroristi senza la fiaccola della libertà a stelle e strisce. Ma l’inganno con cui quella guerra è stata motivata (complici anche le false prove della presenza di armi chimiche) ha gettato un discredito difficile da sanare sulla democrazia americana. E non è forse quella americana la democrazia “modello” per l’Europa?
L’unico tentativo di affrancamento concreto, che puntava a una “partnership of equals” con il vicino americano, è stata l’Unione Europea: realizzare una grande unità continentale, favorendo la diffusione di diritti civili e sociali, in nome della solidarietà e della fratellanza tra i popoli, è stato il sogno della generazione dei “padri fondatori” che videro con i loro occhi lo sfacelo della Seconda guerra mondiale.Ma fin dall’inizio l’Unione Europea ha difettato in democrazia. Si giustificò il deficit democratico come un problema insito nella creazione stessa dell’unità: un male necessario e temporaneo. Ad oggi non è stato superato concretamente malgrado le novità del Trattato di Lisbona.
La decisione di introdurre l’euro, come moneta unica, nel 1999 fu presa da tecnocrati: solo due nazioni, la Danimarca e la Svezia, tennero un referendum sulla sua introduzione ed in entrambi i casi i cittadini votarono contro. Gli altri paesi europei non ritennero necessario interrogare gli elettori trattando i cittadini alla stregua di bambini incapaci di decidere il proprio futuro. Nei giorni più neri della crisi economica, i governi eletti di Grecia e Italia – i due paesi maggiormente a rischio di default – vennero rimpiazzati dopo le pressioni di Bruxelles. Le persone scelte per guidare i due paesi fuori dal pantano erano espressione dell’élite europeista. In molti hanno visto in quel passaggio di poteri un’ingerenza europea negli affari di due stati sovrani e hanno mal digerito la nomina di nuovi leader non eletti.
Partiti populisti, abili a cavalcare il malcontento, si sono diffusi ovunque in Europa e sembrano destinati a ottenere risultati considerevoli alle prossime elezioni europee. Si tratta di compagini reazionarie, ultranazionaliste, neofasciste, xenofobe, ma anche neomarxiste, anticapitaliste e antiliberali, capaci di dar voce all’uomo della strada e alla sua frustrazione verso Bruxelles. Come scrive l’Economist, in What’s gone wrong with democracy, il progetto europeo, disegnato per addomesticare la bestia del populismo, sta spingendo il continente verso le sue fauci.
C’è poi un ultimo problema che rende le democrazie sempre più deboli. La globalizzazione economica ha cambiato profondamente la politica degli stati e molti politici nazionali hanno accettato di rinunciare a un numero sempre maggiore di poteri in favore di istituzioni sovranazionali come il Fondo monetario internazionale, il WTO, l’Unione Europea. Queste istituzioni si sono però dimostrate incapaci di affrontare la crisi (le misure di austerità da essi imposte l’hanno piuttosto aggravata) ma i governi si sono trovati senza gli strumenti necessari a cambiare rotta: il timone non era più nelle loro mani. La perdita di sovranità spinge molti cittadini europei verso più piccole realtà statali in cui poter esercitare una sovranità diretta: il diffondersi di regionalismi e indipendentismi va letto in questo senso.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale il numero di democrazie è costantemente aumentato, complice la decolonizzazione. Oggi vediamo che le primavere arabe, nate dal sincero malcontento verso i regimi autoritari precedenti, sono fallite e involute in altri regimi: quando in Egitto si è votato, l’esercito ha deciso che si era votato in modo sbagliato e ha preso il potere con un colpo di Stato che molti, nei paesi democratici, hanno visto con favore poiché toglieva il potere al partito islamico dei Fratelli Musulmani. Il caso della “rivoluzione” ucraina è solo l’ultimo in cui, in nome della democrazia, si rimuove un leader democraticamente eletto.
Le democrazie di oggi sono, in buona misura, oligarchie mascherate. Ma i cittadini confondono la maschera con la realtà e – attaccando la democrazia – si trovano a fare il gioco dell’oligarchia o, peggio, delle forze oscure dell’intolleranza e della rabbia. Come uscirne? C’è un solo modo: la riappropriazione della sovranità politica da parte dei cittadini evitando, in ogni modo, la tentazione del maggioritario – la nozione per cui chi ottiene la maggioranza dei voti governa e fa quello che vuole. E la disponibilità a sacrificarsi per ottenere maggiori diritti perché, come cantava Gaber, “il giudizio universale non passa nelle case in cui noi ci nascondiamo”. Esempi concreti, dai plenum bosniaci alle indignazioni madrilene, dalle commissioni no-partisan fatte da cittadini che consigliano i governi in Finlandia e in Svezia, ce ne sono.
La democrazia corre il rischio di vedersi schiacciata da nuove forme di potere despotico od oligarchico mascherate per democrazie “moderne” e “funzionali”. E in epoca di crisi molti cittadini sarebbero disposti a rinunciare a fette di democrazia in cambio di lavoro e sicurezza economica. Uno scambio che nessun cittadino dovrebbe essere costretto a fare. La democrazia non è obsoleta, la democrazia è ancora in buona misura da realizzare. Accusare la democrazia come sistema, quando le colpe dei suoi fallimenti sono da imputare a chi ne abusa, è un gioco pericoloso perché, al momento, una alternativa alla democrazia non c’è. La democrazia però va costruita e ricostruita e non bisogna permettere che venga chiamata “democrazia” cioè che democrazia non è. Dire che la democrazia non funziona è come dire che non funziona la terra perché non ci crescono le piante: bisogna bagnarla la terra. E la democrazia non è il deserto, la democrazia è fertile.
“La democrazia, come la concepiamo e la desideriamo, in breve, è il regime delle possibilità sempre aperte. Non basandosi su certezze definitive, essa è sempre disposta a correggersi perché tutto può sempre essere rimesso in discussione. In vita democratica è una continua ricerca e un continuo confronto su ciò che, per il consenso comune che di tempo in tempo viene a determinarsi modificandosi, può essere ritenutoprossimo al bene sociale”. (Gustavo Zagrebelsky)
Matteo Zola, La democrazia è in crisi. Un modello obsoleto ?, in "East Journal", 29-04-14.

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Sotto, alcuni video sull'argomento.










Anna Pan: la piccola italiana di origini cinesi campionessa di neuroscienze.


A conferma di quanto gli allievi cinesi e comunque di origini cinesi si applichino nello studio con uno spirito e un impegno ben diversi da quelli della maggioranza dei loro coetanei italiani, si propone un video su Anna Pan. Nata in Italia da venditori ambulanti cinesi, studentessa del Liceo Scientifico Statale  "Alessandro Antonelli"  (3^ H)  di Novara, è risultata la vincitrice della gara di selezione nazionale per le Olimpiadi delle Neuroscienze 2014 e rappresenterà il nostro Paese nelle prove mondiali che si svolgeranno a Washington nel mese di agosto, in occasione dell'International Brain Bee (IBB).

Di seguito, dunque, il video su questa brillante allieva, che in precedenza aveva già ottenuto un importante riconoscimento della Regione Piemonte:




Sul tema, cfr. anche :

lunedì 28 aprile 2014

Bestiario linguistico. 2.


Lo studio è un diritto ?  Allora paga la tassa.
E non soltanto a Roma, ovviamente.

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Per poter iscriversi all’Università o rinnovare il proprio anno occorre essere in regola con il versamento delle tasse universitarie.

Lo studente è di norma tenuto a pagare:
·         tassa d’iscrizione annuale (per tutti i Corsi e Master) all’atto dell’iscrizione.
·       tassa regionale per il Diritto allo Studio (solo per i Corsi di Laurea), annualmente, all’atto dell’iscrizione, da versare direttamente a Laziodisu (si veda Tassa Regionale).
·         contributo conseguimento titolo – rilascio pergamena (per i Corsi di laurea e Master): contributo una tantum, da versare prima della seduta di Laurea o dell’esame finale per i Master.

Annualmente il Consiglio d’Amministrazione determina l’importo delle tasse universitarie per l’a.a. successivo (escluse eventuali indicazioni specifiche, contenute in accordi o convenzioni, che possono mantenere bloccato l’importo della tassa per tutta la durata legale del corso di studio).
L’unica modalità di pagamento sarà attraverso un bollettino pre compilato che potrai stampare direttamente dalla tua Area Amministrativa seguendo queste semplici operazioni:
·    nella colonna di sinistra seleziona “segretaria” e poi “pagamenti”, a questo punto, nella tabella sotto la dicitura “Pagamenti non ancora registrati” cliccare sul link del numero fattura ed entrare nella pagina col dettaglio delle voci da pagare dove c'è il pulsante di stampa MAV.
Il pagamento può essere effettuato in qualsiasi sportello bancario o attraverso home banking, non è possibile pagare il bollettino alla posta.

Il pagamento per i Corsi di Laurea e Laurea Magistrale avviene di norma in due rate:
1. La prima rata deve essere versata all'atto dell'immatricolazione/iscrizione.
Per la tassa standard e in convenzione l’importo della prima rata è sempre pari ad € 600,00. Per i dipendenti pubblici (immatricolati nell’ambito del Protocollo d’intesa)  l’importo della prima rata è pari ad € 600,00. Per le tasse d’iscrizione ai Master la prima rata è sempre pari ad € 600,00, la seconda rata sarà della restante parte entro i successivi 60 giorni dalla data di immatricolazione.
2. Per i Corsi di Laurea la seconda rata deve essere versata entro i successivi 90 giorni. L’importo della seconda rata è sempre pari al saldo tra la tassa annuale e la prima rata.
Le altre tasse e contributi universitari (ad esempio: contributo per conseguimento titolo, contributo per sospensione carriera, mora, ecc) non possono essere rateizzati e devono essere versati in un’unica soluzione.

La tassa regionale per il diritto allo studio (€ 140,00 per l'a.a. 2012/2013) è aggiuntiva e deve essere versata all'ente Regionale per il diritto allo studio, LAZIODISU, all'atto dell'immatricolazione/iscrizione esclusivamente da coloro che si iscrivono ai Corsi di Laurea e Laurea Magistrale. Per maggiori informazioni sulla tassa regionale consulta la sezione "Tassa Regionale" della Guida allo studente.
Per essere ammesso agli esami di profitto e all'esame di laurea, lo studente deve risultare in regola con il versamento delle tasse e dei contributi previsti. Il versamento tardivo comporta il pagamento dell'indennità di mora nelle misure previste.

Unitelma Sapienza, Tasse e contributi.

domenica 27 aprile 2014

La scuola in Cina.


Altri video sulla scuola in Cina, dedicati ai responsabili della nostra politica scolastica  (con l'auspicio che ne traggano i dovuti suggerimenti).





















giovedì 24 aprile 2014

I danni provocati sui giovani dai social network.








I nostri ragazzi possono gestire molteplici contatti su Facebook, Twitter o WhatsApp ma non sarebbero in grado di sostenere una classica conversazione. Lancia l’allarme Paul Barnwell, americano, professore di Storia medievale, che racconta accorato nel magazine «The Atlantic» il comportamento dei suoi studenti. I ragazzi, come molti loro coetanei in gran parte del mondo, siedono in classe con le mani sotto al banco e maneggiano furiosamente gli smartphone per controllare quello che accade sui loro social network, o per interagire con i loro contatti online.  


Il docente decide quindi d’interrompere questa loro attività che giudica compulsiva, li richiama all’attenzione e lancia l’idea che vorrebbe impegnarli in una conversazione. Esplode il panico, gli studenti costretti ad alzare gli occhi dai loro display sono presi da crisi d’astinenza preventiva, qualcuno di loro già agguanta il telefonino temendo di doversi separare dalla sua protesi per comunicare.  
 
La preoccupazione del professore è proprio legata all’inseparabile appendice che ogni studente sembra avere incorporata. Lui si chiede come quei ragazzi potranno mai sostenere una vita di relazioni tra esseri umani, quando saranno obbligati a interagire de visu, senza emoticon, senza i binari obbligati di una chat di un messenger, fuori dal loro habitat congeniale, dove basta metter un «like» per esprimere un consenso.  
Il prof Barnwell è preoccupato perché in tutti i laboratori scolastici, in cui vede impegnati i suoi allievi con gli strumenti di produzione di pensiero digitale a loro familiari, non può fare a meno di osservare la loro incapacità di uscire da uno schema di relazione condizionato da quegli oggetti tecnologici. Insomma il professore va alla ricerca dell’equazione umana perduta, perché sono le macchine a stabilire le regole.  
 
È facile immaginare che le sue siano domande che universalmente gli insegnanti si pongono, ogni giorno e in gran parte delle scuole tradizionalmente strutturate. L’impressione è che raramente il fisiologico divario generazionale abbia posto adulti e ragazzi in territori così inesorabilmente distanti. Questo per lo meno sembra ascoltando le grida di dolore di quanti invochino la perdita di senso critico, l’incapacità di relazione profonda in nome di semplice «connessione» (scomodiamo persino il vecchio prof. Zygmunt Bauman, profeta della «società liquida»).  
 
È indubbio che negli ultimi due decenni l’umanità, dal punto di vista delle sue possibilità di relazione, abbia fatto un salto evolutivo mai accaduto nella sua storia precedente. Immaginiamo solamente quale sia la massa di persone che oggi possiamo raggiungere subito, perché memorizzate nella sim card del nostro smartphone, incomparabile con i nomi scritti a penna nell’agendina che si portava nella tasca della giacca un nostro coetaneo fino a metà degli Anni Novanta.  
 
Tutto questo cambia sicuramente la nostra attitudine a comunicare e le nostre regole di comunicazione. Non significa che siamo «meno umani», anzi la nostra umanità viaggia più veloce e si afferma in maniera più potente, perché ci siamo consapevolmente evoluti. Purtroppo i nostri apparati di tradizionale trasmissione del sapere sono rimasti un passo indietro, in gran parte dei casi in mano a chi difende il proprio fortino in nome di un’umanità usurpata.  
 
Spesso non basta mettere nelle aule un po’ di tecnologia per essere al passo; mi ha confessato mio figlio liceale che l’uso migliore della Lim ministeriale, la Lavagna interattiva multimediale che campeggia nella sua classe, avviene durante la ricreazione. L’insegnante esce, mentre addentano il panino gli studenti si sparano YouTube nel grande schermo e commentano tutti assieme i video che più li appassionano. Faranno anche un po’ di casino, ma nelle cinque ore in cui devono solo ascoltare e rispondere a domande su quello che hanno imparato leggendo un libro, è quella l’unica occasione che i ragazzi hanno di «conversare». 



Gianluca Nicoletti,  Perduti dentro un tweet, i ragazzi non conversano più., "La Stampa", 25-04-14.

Verifica la tua conoscenza della lingua italiana.



Conosci bene l'italiano ?
Scoprilo con i quiz proposti dal "Sole 24 ore" e assegnati un voto.


Droghe 'leggere'. La Lettonia dà il buon esempio.

Dopo la legge entrata in vigore pochi giorni fa sul divieto della vendita di quelle che venivano finora considerate “droghe legali” in Lettonia, adesso il ministro Rihards Kozlovskis prevede anche pene amministrative per chi affitta edifici in cui vengono vendute “sostanze psicoattive”.
In questi ultimi mesi c’è stata in Lettonia una forte campagna per portare alla luce il fenomeno delle droghe leggere vendute fino a poco tempo fa in modo legale, ma che spesso causano a chi ne fa uso forti malesseri e gravi conseguenze alla salute.
Per questo la campagna contro la vendita e l’uso di queste sostanze ha avuto un forte impatto nell’opinione pubblica lettone, tanto da aver portato a modificare la legge penale che dal 9 aprile prevede sanzioni penali contro chiunque venda “sostanze psicoattive” la cui manipolazione è vietata o limitata.
Ma oltre alle conseguenze penali per chi vende queste sostanze, adesso il governo lettone spinge per colpire almeno a livello amministrativo e pecuniario anche gli affittuari dei luoghi dove si verifica lo spaccio di tali sostanze.
Per questo il ministro dell’interno Kozlovskis avrebbe previsto sanzioni da 280 a 700 euro per le persone fisiche, e da 1400 a 7000 euro per le persone giuridiche, che siano coinvolte nel traffico di queste sostanze, sia affittando stanze o negozi adibiti a questo commercio, sia per chi collabori allo stoccaggio e al trasporto di queste sostanze.


lunedì 21 aprile 2014

Impariamo il linguaggio dei computer.

   
Il linguaggio dei computer e la scuola italiana: qualcosa si muove, tra ritardi delle istituzioni ed esempi virtuosi. Perché è qui che si gioca il futuro (non solo lavorativo) dei giovanissimi

“Non comprate un nuovo videogame: fatene uno. Non scaricate l’ultima app: disegnatela. Non usate semplicemente il vostro telefono: programmatelo”. 
Così, in un recente discorso, il Presidente Barack Obama si è rivolto agli studenti americani per stimolarli a imparare un nuovo linguaggio, quello della programmazione – il cosiddetto “coding” –, sostenendo la campagna “Hour of Code ”, lanciata da Code.org per la diffusione delle scienze informatiche. 


                                            



A fronte di questo quadro come si sta muovendo la scuola italiana? Quanto spazio trova la programmazione nelle aule? Come spesso accade nel rapporto tra scuola e digitale ci si trova di fronte a una realtà molto sfaccettata, lasciata per lo più all’iniziativa individuale o a progetti locali. 

Proprio sull’onda dell’iniziativa “Hour of Code”, Nubess , azienda insediata nel polo tecnologico lucchese, lo scorso dicembre ha portato la programmazione nelle classi dei licei paritari Esedra . “Abbiamo rivolto la nostra attività alle classi quarte e quinte, attraverso il gioco abbiamo cercato di introdurre i ragazzi alle regole basilari della programmazione – spiega Stefano Struia di Nubess –. Si è trattato più che altro di una lezione simbolica, ma l’operazione è stata accolta bene dalla scuola, è stata la scintilla che speriamo possa dare un seguito più strutturato all’iniziativa”. 

Sicuramente più strutturata e articolata la situazione in Piemonte, dove una grossa spinta all’insegnamento e all’utilizzo del coding nelle classi arriva dal lavoro congiunto di CSP e dell’Associazione Dschola . “Dopo aver puntato nel 2010 su processing e schede open source Arduino , ci siamo accorti che si trattava di un linguaggio non adatto a ragazzi di 14 anni – spiga Eleonora Pantò , Direttore di Dschola e Digital Media and Content Manager al CSP –. Così siamo passati a Scratch , che si è rivelato decisamente più abbordabile, soprattutto se abbinato all’idea del videogioco”.  

Il canale per entrare nelle scuole è l’Italian Scratch Festival , nato nel 2012 con l’intento di “incentivare l’insegnamento e l’apprendimento dell’Informatica avvicinando alla programmazione in modo creativo gli studenti del biennio delle scuole secondarie superiori”. I ragazzi partecipanti sviluppano videogiochi (qui un esempio dei lavori realizzati nel 2012) e dopo una selezione nazionale si confrontano nella finale in occasione dello Scratch Day (quest’anno il 17 maggio all’ITI Majorana di Grugliasco). 

Tra i più assidui partecipanti all’evento, l’Istituto Istruzione Superiore Vallauri di Fossano, dove la programmazione è di casa da almeno 4 anni. “Usiamo Scratch fin dal primo anno, per permettere ai ragazzi di impratichirsi dei concetti base in modo semplice e ludico – spiega Alberto Barbero, docente di Informatica –. Realizziamo videogiochi come sparatutto, tennis, ping pong, corse delle macchine; per farlo si deve ricorrere a strutture informatiche di base, si impara quasi senza accorgersene”. Dal secondo anno si lavora con App Inventor , fratello maggiore di Scratch, anch’esso sviluppato dal MIT di Boston , fino a sconfinare nei fondamenti della robotica, attraverso la programmazione di Arduino, sempre utilizzando Scratch.  

Mentre Oltreoceano Stem Center ha lanciato una campagna su Kickstarter per Pi-Bot , un robot basato su Arduino utilizzabile per insegnare agli studenti come costruire e programmare il proprio robot, il Bel Paese non sta a guardare. Come dimostrano i vincitori dell’edizione 2013 del premio organizzato dal CSP, Innovation & Creativity 4school : il team dell’ITI Fauser di Novara ha presentato il WiFi Kinetic Rover, controllato, grazie a una scheda Arduino, tramite controllo vocale e attraverso i movimenti della mano. 
Altri interessanti esempi di applicazione di Scratch alla robotica, sono offerti da CoderDojo Roma, che ha partecipato alla Roma Cup di robotica, dando vita a laboratori di programmazione specifici all’interno delle scuole secondarie della capitale, ma anche dall’IC Marco Polo di Fabriano. Qui, nel 2013, Maria Beatrice Rapaccini, attualmente insegnante di matematica in una scuola professionale di Jesi, ha avviato laboratori di programmazione applicata alla robotica, che hanno riscosso grande entusiasmo tra gli studenti.

 

Linguaggio di programmazione estremamente duttile, Scratch viene utilizzato tanto nelle superiori quanto nella scuola primaria. Si rivolgono proprio ai bambini dai 7 anni gli appuntamenti di CoderDojo , movimento nato in Irlanda nel 2011, che si occupa di organizzare incontri gratuiti per insegnare ai ragazzi a programmare. “Usiamo il metodo ‘learning by doing’: dopo un breve tutorial introduttivo, si impara facendo le cose – spiega Agnese Addone, membro di CoderDojo Roma e maestra presso l’Istituto Comprensivo Alfieri Lante della Rovere di Roma –. L’aspetto più interessante è che i bambini sono immersi in un ambiente logico matematico, ma possono dare libero spazio alla creatività e alla fantasia. Il commento tipico dei bambini al termine di un ‘dojo’ è: mi sono costruito un gioco da solo”. E ritorna il passaggio caldeggiato da Obama: da utenti passivi della tecnologia a produttori attivi di contenuti.  

L’Addone ha portato l’esperienza accumulata con CoderDojo all’interno delle sue classi: “Scratch è un linguaggio open source e permette dunque condivisione e remix, ossia il riuso del codice sorgente realizzato da qualcun altro. Si tratta di due elementi fondamentali, con la condivisione posso mostrare quello che ho creato, col remix posso copiare in modo creativo, non rubo un’idea, riconosco il valore dell’attività dell’altro e l’arricchisco”. Inoltre i bambini si trovano a familiarizzare con la logica e, pur non avendolo ancora studiato, si muovono con disinvoltura sul piano cartesiano. “La programmazione diventa uno strumento prezioso nella didattica, non solo per le competenze digitali anche molto avanzate che i bambini acquisiscono già dal quarto anno della scuola primaria, ma perché li stimola moltissimo, li rende più autonomi e spesso anche quelli che sembrano ostacoli, diventano elementi stimolanti – spiega l’Addone –. In classe, ho un computer per 20 bambini, ci siamo organizzati, è diventato un importante esercizio di didattica collaborativa e funziona. Quando vogliamo lavorare tutti assieme facciamo attività di coding unplugged , offline, usando oggetti concreti al posto delle linee di codice”. 

Condivide lo stesso percorso tra scuola primaria e CoderDojo, Caterina Moscetti , che insegna all’Istituto Comprensivo di Sigillo , in provincia di Perugia. “A scuola uso la programmazione per far passare contenuti didattici; con i bambini di terza abbiamo realizzato animazioni in Scretch per sviluppare l’apprendimento della lingua inglese – racconta la Moscetti –. Basta fornire le prime basi di programmazione, poi i bambini vanno avanti da soli”.  




  
Insomma, gli esempi virtuosi non mancano, nemmeno i risultati, quello che manca è fare sistema di tutte queste esperienze. “La programmazione non esiste nel curricolo scolastico, questo è un gap da colmare – sottolinea Agnese Addone –. I programmatori scrivono una lingua che si parla in tutto il mondo, non possiamo permetterci di rimanere isolati”. 

La “lingua” del coding, nella scuola, non si declina solo su Scratch. È molto utilizzato, soprattutto nel scuole del centro Italia, il manuale “Passo dopo passo impariamo a programmare con Python” , nato nel 2009 dal lavoro di Aurora Martina, Angelo Raffaele Meo, Clotilde Moro e Mario Scovazzi e testato con gli alunni della scuola media Peyron – Fermi di Torino, che, come si legge nei ringraziamenti: “hanno fatto allegramente da cavie, tuffandosi per la prima volta nel profondo mare della programmazione. P. S.: nessuno è annegato”. 

L’iniziativa è partita da un’idea del Professor Meo, che voleva trovare un modo per valorizzare l’importanza della logica e del ragionamento nei processi di apprendimento. La programmazione risponde proprio a questa esigenza. “Abbiamo scelto Python innanzitutto perché è un software open source – spiega Mario Scovazzi –. Sicuramente è un linguaggio più complesso rispetto a Scratch, soprattutto all’inizio i ragazzi devono faticare un po’, ma offre poi grandi potenzialità”. “Python oggi viene usato per scrivere moltissime app, è impiegato in attività di robotica e importanti software del Cern sono programmati in Python”, aggiunge il Prof. Meo. 

La scelta si è rivelata lungimirante e le risposte sono state positive fin da subito. “Non si insegnano gli algoritmi ai ragazzi, ma dando loro gli elementi per sviluppare un ragionamento logico è il ragazzo stesso che arriva a creare l’algoritmo che gli serve; e questo mi sembra un ottimo risultato – sottolinea Clotilde Moro –. Se poi vogliamo riuscire a colmare il grave gap informatico che ci caratterizza, temo che non basti la riforma del sistema scolastico; bisognerebbe rivedere la mentalità di chi ha potere decisionale e di molti docenti, ancora troppo analogica”.

Luca Indemini,  Programmare ?  E' un gioco da bambini., "La Stampa" del 16-04-14.

domenica 20 aprile 2014

Borse di studio per l'Università "Niccolò Cusano".


Da Unicusano Borse di studio per i primi 600 iscritti

Parte il conto alla rovescia per il 'Click Day'. L'Università Niccolò Cusano lancia un'iniziativa a favore del futuro degli studenti, offrendo 600 borse di studio per un valore di 19.200.000 di euro ai maturandi dei Comuni di Roma e Fiumicino. Come fare per aggiudicarsele? Basta essere veloci: avranno infatti diritto all'assegnazione delle borse di studio per l'iscrizione ad un "Corso di Laurea con percorso Plus" esclusivamente le prime 600 domande che a partire dalle ore 16.00 del giorno 15 maggio 2014 perverranno via Pec all'indirizzo unicusano@pec.it, dalle Pec private dei candidati.
L'iniziativa è stata presentata questa mattina presso l'aula magna dell'Ateneo alla presenza di Stefano Bandecchi, Ad dell'Universita' Niccolo' Cusano, del Presidente del Cda, Stefano  Ranucci; del Rettore dell'Unicusano, Fabio Fortuna; del responsabile del sito www.skuola.net., Daniele Grassucci. Hanno portato i loro saluti Mirko Coratti, presidente dell'assemblea  capitolina; Paolo Masini, assessore allo Sviluppo delle Periferie, Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma Capitale; Mario Rusconi, vicepresidente nazionale e presidente del Lazio  dell'Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola.    Nello specifico saranno 175 le borse di studio erogate per la facoltà di Economia e altrettante per quella di Giurisprudenza; 150 per Scienze Politiche; 50 per Ingegneria Industriale e 50 per Ingegneria Civile. Ogni borsa di studio coprirà  totalmente la retta d'iscrizione prevista per i 5 anni di corso (2.400 euro l'anno) a cui si aggiungeranno i due corsi di lingua straniera (inglese e cinese) dal valore annuo di 2.000 euro ciascuno, che i borsisti seguiranno nell'arco dell'intero percorso accademico.
Cosa offre la borsa di studio - Coloro che riusciranno ad accreditarsi tra i 600 borsisti avranno diritto all'esonero (con esclusione della tassa regionale annuale per il Diritto allo  Studio) dal pagamento delle rette per l'anno accademico 2014-2015 e per i 4 anni accademici ad esso successivi, utili per il conseguimento della laurea triennale piu' biennio specialistico o della laurea magistrale a ciclo unico.
Che requisiti bisogna avere per accedere alla borsa di studio - Potranno accreditarsi per conseguire una delle suddette seicento borse di studio coloro che conseguiranno il diploma di istruzione  secondaria superiore nell'anno accademico 2013-2014 presso un istituto del Comune di Roma o di un Comune confinante (Fiumicino, Ciampino, Fonte Nuova, Formello, Riano, Sacrofano, Monterotondo, Mentana, Frascati, Castelnuovo di Porto, Marino, Grottaferrata, Morlupo, Albano Laziale, Capena, Castel Gandolfo, Pomezia,  Campagnano di Roma, Guidonia Montecelio, Monte Porzio Catone, Anguillara Sabazia, Ariccia, Fiano Romano).
Che cos'è un corso di laurea con percorso Plus - I Corsi di Laurea con Percorso Plus della Niccolò Cusano sono corsi di laurea tradizionali corredati da una serie di attività didattiche che ne accrescono l'efficacia. Tali attività riguardano corsi di lingua inglese e cinese che lo studente avrà la facoltà di frequentare in presenza, secondo un calendario stabilito; corsi e attività mirati a sviluppare le competenze trasversali e risorse personali che permetteranno di tradurre le conoscenze in comportamenti efficaci; attività di comunicazione e divulgazione sviluppate sotto la guida di esperti del settore della comunicazione.

Redazione Roma Today, Da Unicusano borse di studio per i primi 600 iscritti, Roma Today del 18-04-14.

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Sotto, quattro video sull' Università  "Niccolò Cusano"   (i primi due sono dedicati in modo specifico all'iniziativa): 



sabato 19 aprile 2014

Bestiario giovanile. La 'moda' del knockout.


L’ennesima moda violenta, quella “importata” dall’estero da alcuni giovani della Capitale. Si chiama “Knockout”  e consiste nello stendere a terra con un pugno un passante inconsapevole, filmare tutto e pubblicare on line il video.
Una moda made in Usa che sta prendendo piede soprattutto nelle vie di Trastevere tra ragazzini dai 15 ai 18 anni e che si verifica quasi quotidianamente.
“Sono giovanissimi, italiani. Si sballano, bevono, fumano canne e poi sbucano da quella via e partono con le aggressioni ai passanti”, spiega Alex, gestore dell’ osteria “Il Vicolo” in vicolo del Cinque a Repubblica.it.
I bulletti quindi si ubriacano, poi partono in gruppetti e colpiscono i passanti senza nessun motivo particolare: un pugno in faccia e li lasciano stesi a terra sanguinanti. E nel quartiere tra commercianti e residente cresce notevolmente il malcontento,  Stefania Porcelli, titolare del ristorante “Da Checco” sempre a Repubblica, denuncia la troppa elasticità di alcuni commercianti nel vendere alcool ai minorenni:
“…negli ultimi sei mesi qui a Trastevere hanno aperto sei mini supermarket che vendono unicamente alcolici, soprattutto a minorenni. Qui i controlli vengono, eccome. E se qualcuno sgarra la Municipale, giustamente fa multe. Peccato che sbaglino gli orari degli interventi. Perché il vero inferno nel quartiere avviene dall’una alle cinque del mattino, quando noi commercianti storici chiudiamo e restano aperti gli altri locali. Lo sballo commerciale è la vera piaga che dà modo a queste schiere di ragazzini, che vomitano da ogni parte e li vedi in condizioni da far accapponare la pelle, di fare ciò che vogliono. Noi residenti siamo pronti a metterci al tavolo con le istituzioni per portare avanti una legalità che ormai qui è un ricordo lontano”.
Ancora una volta, insomma, dall’estero importiamo sempre il peggio.

Trastevere, è di moda il Knockout: pugni in faccia ai passanti senza motivo,  Roma Blogosfere, 31-03-14.

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Segnalato da Sara Neri  (1^ As)
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