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mercoledì 25 febbraio 2015

Settimana corta a scuola. A chi conviene ?

Dopo un'esperienza di scuola su cinque giorni settimanali che dura da un paio d'anni, mi sento in dovere di esprimere un significativo disagio che grava sulla qualità dell’offerta formativa anche in termini di svantaggio rispetto al successo scolastico degli allievi.
L'orario delle lezioni, che prevede ogni giorno un lavoro didattico dalle 8.00 alle 14.00, fa ricadere sulle ultime ore della mattinata una situazione didatticamente poco proficua, se non addirittura nulla come nel caso della settima ed ottava ora che si aggiungono con il cosiddetto "rientro pomeridiano".
Questa situazione rimanda anche a gravi ripercussioni che riguardano lo studio domestico, il rientro a casa dopo la scuola avviene già nel pomeriggio inoltrato, senza consentire allo studente di avere tempo ed energie da dedicare ancora allo studio.
La non disponibilità di tempo al pomeriggio ha anche altri tipi di ripercussioni:
* in ordine alle attività di recupero (che devono essere sistemate in coda a giornate già eccessivamente cariche, riducendone ovviamente l'efficacia);

* in ordine a qualsiasi proposta di approfondimento/corsi di eccellenza che non trova possibilità pratica di attuazione;
* in ordine alla possibilità di partecipare a qualsiasi attività extra-scolastica.

In ultima analisi rimane da sottolineare che la scuola, che si deve occupare di Educazione alla Salute secondo le indicazioni ministeriali, costringe questi studenti ad un'alimentazione scorretta per nove mesi all'anno nella maggior parte delle istituzioni che non sono dotate di una mensa apposita.



F. Vuono, M.Bordino, Il fallimento della settimana corta, "Orizzonte scuola", 24-02-15.

giovedì 19 febbraio 2015

Un'autogestione decisamente insolita.

“Stiamo restaurando la nostra scuola, giusto per starci qualche altro mese e non ritrovarci sotto le macerie”. Gli studenti dell’istituto per geometri Alvar Aalto diTorino hanno iniziato lunedì un’autogestione molto particolare: fra un’assemblea e un’altra hanno iniziato a fare manutenzione “Le istituzioni non sono presenti, i muri ci cadono addosso – racconta Stefano, uno dei rappresentati degli studenti – Quest’anno ci siamo voluti mettere in campo per dare una mano alla scuola”. Ovviamente i fondi non bastano nemmeno per comprare i materiale “Quindi- spiega il prof. Eugenio Chiambretto – studenti e docenti si sono autotassati per comprare i materiali”.  

 

sabato 14 febbraio 2015

Roma Capitale. Di cosa ? 12.


Gentili signori di Roma fa Schifo,  Stimo molto il modo con cui fate giornalismo e per questo ho deciso di rivolgermi a voi, sperando che il mio appello non venga ignorato. Vorrei segnalarvi lo spreco di una struttura che in dieci anni di vita non è mai stata utilizzata, vi descrivo la situazione della palestra e vi allego alcune foto. La palestra di Via Giannantonio Selva è una grande struttura adatta (o almeno un tempo lo era) alla pratica di discipline sportive come basket e pallavolo. Collaudata nel 2006-2007 in seguito alla costruzione come "onere concessorio" dai privati che si erano occupati della costruzione delle ville nella zona, da diversi anni (anzi da sempre), versa in condizioni pietose: ci troviamo di fronte all'ennesimo spreco di soldi pubblici! Mai utilizzata dall'inaugurazione del ex sindaco Walter Veltroni, è stata teatro di vandalismo e altre forme di illegalità, che l'hanno ridotta in un pessimo stato. Ristrutturata nel 2013 in seguito alle svariate segnalazioni dei cittadini, è stata affidata alla Federazione Pugilistica Italiana, che appena dopo la vittoria del bando di affidamento, vi ha tenuto una sola giornata di incontri pugilistici. Cosa sia successo dopo nessuno lo sa, ma sta di fatto che ora la palestra è inutilizzata, ha le porte chiuse con le catene, tavole inchiodate alle finestre e da più di un anno la situazione è ferma.  E allora mi chiedo, per quale motivo la palestra non può essere affidata alle società sportive del quartiere e non, che ne farebbero un uso sicuramente più idoneo? 

giovedì 12 febbraio 2015

Bestiario ideologico. Laicità sulla punta della spada.


La statua che il comune francese di Publier (Alta Savoia) ha eretto nel 2011 a Nostra Signora di Léman (lago situato tra la Francia e la Svizzera) «viola la laicità e quindi deve essere spostata». Il tribunale amministrativo di Grenoble ha deciso di sloggiare la Madonna perché si trova in un parco comunale, e quindi «su suolo pubblico», pertanto «il Comune non poteva legalmente autorizzare l'installazione della statua», avendo così violato la «separazione tra Stato e Chiesa cattolica». Il sindaco di sinistra Gaston Lacroix c'è rimasto male: «Non pensavo si arrivasse a questo punto, la statua è un punto di riferimento per tutti. Tutto il mondo mi ha sostenuto, anche i musulmani». Sconsolato anche il sacerdote del piccolo comune di circa seimila abitanti, Robert Colloud, che ricorda come «la statua e il terreno su cui poggia sono stati comprati dalla parrocchia. Quindi non è vero che è terreno comunale». Esulta invece la Federazione del Libero pensiero, che ha fatto causa e ha vinto: «Ora il sindaco deve togliere la statua. Questo sì che sarà un bell'esempio per i giovani. Mi chiedo se la religione cattolica sia compatibile con la République».


giovedì 5 febbraio 2015

Oliver, Jack o Mohammed ? Il Regno Unito a una svolta.

Mohammed è il nome più popolare tra i neonati in Gran Bretagna. Quando gli inglesi lo hanno saputo dai giornali, hanno cominciato a inondare i siti web di commenti. «L’Inghilterra è finita», annotava mestamente un lettore. «Come ha potuto il governo lasciare che accadesse?» si domandava un altro. Dopo pochi minuti, l’«Independent» è stato costretto a chiudere il suo blog, perché le reazioni, incredule e sgomente, stavano diventando impubblicabili.  

Tra le notizie del weekend, è stata certamente la più inattesa. Ci doveva essere un errore da qualche parte, non era possibile che nomi tradizionalmente british, come Oliver e Jack, avessero lasciato il passo al nome più diffuso nel mondo islamico. L’annuncio era stato dato dal sito BabyCentre.co.uk, che aveva chiesto a 56.157 coppie che avevano avuto un figlio nel 2014 quale nome gli avessero dato. Mohammed è risultato largamente al primo posto. Il risultato della ricerca sembrava però essere smentito dai dati dell’Ons, l’ufficio nazionale di statistica, che indicava Oliver ancora saldamente al comando. Il contrasto tra i due risultati è stato risolto in poche ore: BabyCentre aveva ragione.  

Il nome del Profeta ha una decina di varianti. In Pakistan è Muhammad, in Africa Muhammed, in Arabia Mohammed, in Iran e Afghanistan Mohammad. I burocratici dell’ufficio di statistica hanno considerato queste varianti come nomi diversi. Per loro, tra i preferiti per i neonati inglesi, Muhammad era al 15° posto, Mohammed al 23° e Mohammad al 57°. In questo modo, Oliver poteva mantenere con onore il primo posto. BabyCentre ha invece giustamente considerato che le varianti andavano considerate un unico nome, il più popolare nel 2014 in Gran Bretagna. 

Secondo gli esperti non c’è da stupirsi: Mohammed è il primo nome anche in luoghi impensabili come Oslo e Israele. Ogni famiglia musulmana chiama infatti in questo modo il primo figlio maschio, dandogli poi un secondo nome con il quale è di solito conosciuto, come avviene ad esempio per due ex Presidenti egiziani: Muhammad Hosni Mubarak e Muhammad Anwar Sadat. Sarah Redshaw, direttrice di baby Centre, ha detto al «Guardian»: «I nostri dati mostrano la diversità della struttura sociale della Gran Bretagna, così come si è sviluppata negli ultimi anni. Rispetto al 2013, Mohammed è salito dal 27° posto al primo e nella classifica sono entrati anche nomi indiani come Aarav».  

I musulmani rappresentano solo il 4% della popolazione britannica, ma diventeranno l’8% entro il 2030 e forse anche prima. Nomi come Omar, Ali e Ibrahim sono per la prima volta tra i primi 100, dove compaiono anche sempre più nomi femminili come Nur (29° posto) e Maryam, salita dal 59° al 35°.  

E i vecchi nomi della tradizione inglese? La famiglia reale non sembra più un esempio da seguire. Charlie (6°) e Harry (7°) hanno perso tre posizioni, William è sceso al 12° posto e George addirittura al 18°. Oliver e Jack resistono al secondo e terzo posto, ma non c’è più un collante nazionale che difenda le vecchie tradizioni. La scelta è ondivaga, dipende dalle mode e dalle celebrità. Vanno forte i nomi dei figli dei Beckham, Romeo (+ 67%) e Cruz (+ 400%). Quelli di «Breaking Bad», come Skyler, Jesse e Walter, e quelli di «Game of Thrones», come Emilia. Ci sono molte novità stravaganti, Wren, Indigo, Genesis, Prince e Apollo, ma anche una invasione di nomi biblici come Noah, Jacob, Joshua, Ethan, dovuta al revival di film a tema religioso. A Londra è appena uscito «Exodus: dei e re» di Ridley Scott: Moses e Ramses sono pronti a entrare in classifica, ma per battere Mohammed ci vorrà ben altro.