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domenica 31 agosto 2014

Dormire di più per vivere meglio.


Sono anni che gli esperti insistono sull'importanza del sonno nella vita quotidiana e sull'assoluta insensatezza di fare entrare i ragazzi a scuola prima delle nove del mattino, obbligandoli di fatto a sonnecchiare sui banchi per almeno le prime due ore di attività didattica  (a meno che non abbiano Educazione Fisica).                                                           Vanno accolti quindi con grande favore i risultati della ricerca condotta dall' American Academy of Pediatricians, risultati che ribadiscono quanto già affermato, per esempio, dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale nel 2011 .
Sull'argomento riporto un articolo della  "Stampa"  di ieri  (corsivo mio).
Qui per il testo sul portale dell' AAP.

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E’ uno di momenti più complicati nella giornata di ogni genitore: svegliare i figli adolescenti la mattina, perché arrivino in tempo a scuola. Sbagliamo tutto o quasi, però, secondo l’American Academy of Pediatricians (AAP), perché la strategia da adottare non è quella delle secchiate d’acqua, ma piuttosto quella di ritardare l’orario d’inizio delle lezioni

Il sonno è prezioso, e nella nostra società lo spazio che gli concediamo diminuisce in continuazione, per giovani e adulti. Nel caso degli adolescenti, però, privarli delle otto o nove ore necessarie di riposo significa compromettere la loro salute fisica e mentale, e di conseguenza le prestazioni scolastiche.  

L’Adolescent Sleep Working Group della AAP ha appena condotto uno studio in materia, da cui risulta che la mancanza di sonno contribuisce a problemi come l’obesità, il diabete, e anche i problemi umorali e comportamentali. Inoltre spinge all’uso di sostanze come caffé, tabacco e alcool. Dunque non si tratta solo di un problema di rendimento accademico, ma di salute. 

Il rimedio sembrerebbe ovvio: mandare i figli a letto prima. Non è così facile, però, e non solo perché vogliono restare svegli a farsi gli affari propri. Il problema, secondo l’AAP, è fisiologico: i mutamenti che avvengono nel corpo durante l’adolescenza cambiano anche i ritmi della stanchezza. I giovani in questo periodo della loro vita sono portati ad andare a letto più tardi perché il loro fisico lo richiede, e di conseguenza si svegliano più tardi la mattina. Tirarli giù a forza significa solo privarli del riposo necessario, perché tanto poi la notte successiva non andranno comunque a dormire prima, perché il loro corpo si stanca con una velocità diversa da quella dell’infanzia. 

Lo studio dell’AAP dimostra che anche mezzora di sonno in più fa la differenza, tanto nel rendimento scolastico, quanto nella salute e nell’umore. Non solo, ma i ragazzi che restano a letto più a lungo la mattina, sono poi portati anche ad andarci prima la sera. Secondo i pediatri americani, quindi, la soluzione del problema è chiara: la scuola non dovrebbe mai cominciare prima delle 8,30 del mattino, o magari anche una mezzora più tardi. Gli effetti fisici e mentali sarebbero così positivi, da superare nettamente quello che si perderebbe invece rinunciando a qualche minuto di lezione in più. 

Il problema andrebbe posto anche per gli adulti, che dormendo poco spingono il cervello ad invecchiare più in fretta, ma qui ci sono gli obblighi professionali a creare dei limiti difficili da superare. Secondo un altro studio pubblicato dal Wall Street Journal, la città dove si dorme meno è Tokyo, con 5,44 ore in media al giorno; la più pigra invece è Melbourne, con 6,58 ore. In entrambi i casi, quindi, si riposa meno delle sette ore che i medici consigliano come minimo indispensabile per gli adulti. Mosca è la città che si alza più tardi dal letto, in media alle 8,08, ma è anche quella che va a dormire più tardi, e quindi i suoi abitanti sono privati del sonno necessario come tutti gli altri.  

sabato 30 agosto 2014

Ebola e le scuole.


Le drammatiche notizie che giungono sull'epidemia di Ebola in corso in Africa dovrebbero suggerire al governo un piano straordinario di vigilanza per assicurare, tra l'altro, che in ogni ambiente scolastico e universitario si possa lavorare in serenità.
Le scuole e le università del nostro Paese sono frequentate da decine di migliaia di studenti stranieri, non pochi dei quali di provenienza africana.  Anche se questi studenti sono assenti dai loro paesi di origine da anni, è possibile che siano stati a contatto, continuino a rimanere in contatto  -o lo saranno nel prossimo futuro-  con parenti, amici, conoscenti, che invece si sono recati da poco, o lo faranno, in quelle regioni, per cui un programma di controlli periodici  -partendo dall'inizio delle lezioni-, risulterebbe necessario prima di tutto per assicurare a loro stessi la piena sicurezza.  
Purtroppo, il silenzio del governo su questa emergenza  (come su altre)  è assordante, diversamente da quanto avviene in altri paesi, come ad esempio il Regno Unito: qui, infatti, il premier Cameron qualche giorno fa ha convocato una riunione urgente per predisporre un piano adeguato a far fronte ad ogni evenienza.
Speriamo almeno che la solenne dichiarazione dell'OMS, che ha classificato l'epidemia attualmente in atto in alcune regioni africane un'emergenza di portata  internazionale, serva a distogliere l'attenzione dell'esecutivo da questioni sicuramente meno importanti, come quelle che riguardano l'assetto istituzionale del Paese  (con progetti peraltro dichiarati incompatibili con la Costituzione da alcuni dei nostri maggiori studiosi).
E speriamo anche che ogni scuola e università del nostro Paese avvii sin dall'inizio dell'a.s. corsi di informazione e prevenzione per gli studenti e per il personale.
Qui la mappa di diffusione del virus.  Qui per conoscere i possibili rimedi contro l'epidemia.
Sotto, una serie di video su questo pericolo per l'intera umanità  













 
















  














giovedì 28 agosto 2014

Miglioriamo la conoscenza della lingua italiana.




Siti da cui scaricare liberamente unità didattiche di lingua italiana ed esercitarsi on line, con punteggio finale.





Il mondo al contrario. Valgono più gli esseri umani o gli squali ?


"La Stampa" di qualche giorno fa ha proposto un video particolarmente significativo sulla ferocia dello squalo bianco, che attacca furiosamente la "SharkCam", "un veicolo subacqueo autonomo, con più telecamere all’interno che punta in diverse direzioni, quindi in grado di seguire i movimenti dei grandi predatori da prospettive multiple. "
Le immagini sono decisamente forti e dovrebbero far capire quanto siano pericolosi questi predatori. Riportano alla mente una notizia dello scorso anno, che avevo appreso sempre dalla "Stampa".  In breve: agli inizi del 2013, un tribunale sudafricano ha condannato un pescatore locale, reo di aver catturato e ucciso nel 2011 uno squalo bianco, ad un anno di reclusione con la condizionale e a una multa di diecimila dollari.
Qui un approfondimento della notizia, che lascia quantomeno sconcertati, quando si pensi appunto alla pericolosità di questo squalo, il più killer, secondo alcuni, della famiglia dei pescecani  (che peraltro presenta anche qualche rara specie relativamente pacifica).  
Ma ancora più sconvolgente è apprendere la reazione di alcuni ambienti alla sentenza. Infatti, secondo quanto riportato dalla "Stampa", "La decisione dei giudici è stata accolta con grande soddisfazione dalle autorità e dagli ambientalisti.  «E’ la prima volta che viene pronunciata una sentenza da un tribunale sudafricano per un caso che riguarda il grande squalo bianco» ha sottolineato in un comunicato il ministero dell’Agricoltura e della Pesca, commentando la sentenza di venerdì contro il pescatore, di nome Leon Bekker.".
Di seguito, video sulle prodezze dello squalo bianco, tanto per capire quanto sia innocuo. Tanto innocuo che in alcune aree del pianeta  (dove forse conservano ancora un minimo di buonsenso) su questi spietati assassini viene posta una taglia di almeno mille dollari (diecimila, se l'esemplare viene catturato vivo, da usare poi per scopi turistici).  E questo per un motivo molto semplice: il numero di persone che vengono attaccate da queste iene feroci aumenta ogni anno, con effetti devastanti.  Altro che considerarli una specie protetta.






































mercoledì 27 agosto 2014

Bestiario ideologico. Materia alternativa.

In molti paesi civili Religione non solo è una materia obbligatoria, ma viene insegnata per due-tre h alla settimana, perché si capisce, giustamente, che è uno dei pilastri della formazione giovanile.
In Italia questa disciplina è diventata facoltativa da anni  (ma anche in passato i fedeli di altri culti potevano chiedere l'esenzione, ottenendola), con il risultato che i ragazzi si privano di un apporto tutt'altro che trascurabile  -e, anzi, in alcuni casi decisivo per la loro promozione- al momento dello scrutinio finale.  
Basterebbero queste osservazioni per far capire quanto l'Italia sia arretrata anni-luce rispetto ad altre realtà geografiche.
Ma ciò che è veramente intollerabile è l'attenzione maniacale, al limite della schizofrenia e del delirio, che si riserva al  'problema'  dell'ora alternativa, un  'problema'  a cui a volte vengono dedicate intere riunioni di docenti  (spesso con risultati appena accettabili).
Siccome è un problema che non esiste, allora gli si riservano quanto più tempo e risorse possibili.  Che poi troppe scuole somiglino più a delle nauseabonde stalle dell'Ottocento  (ad andar bene), a degli antri inagibili e privi di qualunque sussidio didattico,  piuttosto che a delle strutture che dovrebbero favorire l'apprendimento e la crescita spirituale dei giovani; che poi certi ambienti scolastici non abbiano niente da invidiare a delle discariche, questo non ha importanza, viene dopo. Prima bisogna 'interrogarsi' sull'ora alternativa, perché bisogna mettere ben chiaro che lo Stato è  'laico'.   Come spesso accade nel nostro Paese, la verità  (in questo caso l'ateismo più becero, o l'avversione per un credo religioso) si camuffano sotto le spoglie della salvaguardia dei diritti inalienabili dei giovani, creando in realtà, di fatto, una vera e propria forma di razzismo nei confronti della religione.
L'articolo che si propone rappresenta un esempio straordinariamente efficace di un certo modo di affrontare la questione.   Non ce ne voglia l'A. del testo, ma non si può fare a meno di pensare, dopo averne ammirato e lodato la competenza e la perizia con cui affronta con mano sicura la materia, che tanto ingegno e tempo potevano essere utilizzati non dico per risolvere, ma almeno per contenere fenomeni ben più importanti dell'ora alternativa, fenomeni che ormai stanno portando la scuola italiana alla rovina.  Oltre a quelli indicati sopra, se ne potrebbero citare altri, a caso: il bullismo; la violenza; gli atti vandalici; il razzismo; l'uso di sostanze non propriamente lecite (almeno fino a poco tempo fa); la dipendenza di tipo psichiatrico dal cellulare e da FB; il totale disinteresse per qualunque materia; la delinquenza di certi genitori.

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Le ragioni che impongono alle scuole di regolare le attività alternative alla religione cattolica sono molteplici e, peraltro, facilmente rintracciabili all’interno di numerose circolari e note ministeriali che nel corso degli anni si sono succedute proprio allo scopo di definire tale tematica. E’ pacifico che gli alunni che non si avvalgono della religione cattolica abbiano diritto a vedersi riconosciuto un insegnamento alternativo. Anche se, inizialmente, c’è da specificare che la questione dell’obbligo di frequentare detti insegnamenti alternativi alla religione cattolica è stata piuttosto controversa. In effetti essa è stata al centro di una nota sentenza della Corte Costituzionale, la n.203 del 12 aprile del 1989 che puntualizzava proprio il principio dell’ora alternativa.
Con l’Accordo di Villa Madama nel 1984, viene revisionato il Concordato del 1929 (successivamente ratificato con Legge n.121 del 1985), in specie qui interessa sottolineare il comma 2 dell’art. 9 il quale espressamente sancisce “la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.
La sentenza n.203 del 1989 insiste su quest’ultimo punto “il principio di laicità è in ogni sua implicazione rispettato grazie alla convenuta garanzia che la scelta non dia luogo a forma alcuna di discriminazione. (…). La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione cattolica si è chiamati a esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, a opzione tra equivalenti discipline scolastiche. 
Lo Stato è obbligato, in forza dell’Accordo con la Santa Sede, ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo. 
Per quanti decidano di non avvalersene l’alternativa è uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione”.
Pertanto a ben leggere lo stralcio di sentenza qui sopra riportato, sarebbe sbagliato anche obbligare gli alunni all’ora alternativa alla religione cattolica poiché si verrebbe a ledere un vero e proprio diritto soggettivo.
C’è anche da aggiungere che il contenuto della sentenza n.203 è stato seguito successivamente da quello di un’altra significativa sentenza della Corte di Cassazione del 1997, la n.11432; in quest’ultima le parti adite in giudizio lamentavano dinanzi al giudice l’obbligo di frequentare i corsi alternativi alla religione cattolica come estrinsecazione di attività operate dalla P.A. e di conseguenza “violatori di diritti soggettivi perfetti”. La sentenza n.11432 denunciava “la lesione da parte della P.A. del diritto soggettivo assoluto alla libertà religiosa e dei diritti supremi all’uguaglianza ed alla non discriminazione, oltre che al rispetto del principio di laicità dello Stato e della scuola, nonché del diritto alla salute. In particolare le norme che gli attori assumono violate sono l’art. 9 della L. n. 449-84; l’art. 9 della L. n. 121-85; gli artt. 2, 3 e 19, 7 – I comma e 8 della Costituzione. Si tratta di norme che non regolano in via diretta l’attività della pubblica amministrazione, ma prendono in primaria e diretta considerazione gli interessi dei cittadini in rapporto alla p.a.. 
Si tratta, quindi di situazioni enunciate come diritto assoluto alla libertà di coscienza e di religione, diritto assoluto all’eguaglianza ed alla non discriminazione, diritto di vedere rispettato come attori cittadini il principio fondamentale della laicità dello Stato e della Scuola, diritto alla salute anche psichica. Si tratta inoltre di diritti soggettivi costituiti direttamente dall’ordinamento per la cui operatività non è necessaria alcuna attività della p.a. la quale non ha il potere di comprimerli o limitarli. Si lamentava quindi il fatto che la P.A, in questo caso la scuola, avesse “trasformato l’insegnamento della religione cattolica da facoltativo in opzionale, violando così il principio di facoltatività, ribadito dalla legge di revisione del concordato fra Chiesa e Stato L. 11 agosto 1984 n. 449, nonché della L. 25 marzo 1985 n. 121, e ponendosi in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini e di libertà di fede”. A conclusione delle motivazioni addotte dalla sentenza n.11432, si richiamava all’interno un passo rilevante della sentenza n.203 ossia l’assunto che “l’esercizio di un diritto di libertà costituzionale non è degradabile ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche”.
Intanto però occorre sottolineare che prima delle due sentenze in parola si erano intrufolate diverse circolari ministeriali, tutte dello stesso tenore, volte cioè a disciplinare l’insegnamento delle attività alternative nella scuola materna, elementare, media e superiore (la n.128, 129, 130, e 131 tutte datate 3 maggio 1986). In realtà per la scuola superiore il 13 giugno del 1986 viene emanata la C.M. n.177, applicazione della Legge n.281 del 1986 “Capacità di scelte scolastiche e di iscrizione nelle scuole secondarie superiori”; l’articolo 1 così stabiliva “1. Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all’atto dell’iscrizione, a richiesta dell’autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. 2. Viene altresì esercitato personalmente dallo studente il diritto di scelta in materia di insegnamento religioso in relazione a quanto previsto da eventuali intese con altre confessioni. 3. Le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attività culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. 4. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione.
Tuttavia è la C.M. n.211 del 24 luglio del 1986 che ha fornito ulteriori precisazioni sull’attuazione delle nuove norme derivate dalla revisione concordataria. La suddetta circolare è interessante perché mette in evidenza un punto fondamentale che sin dal quel momento andava ad incidere sulla funzione di un importante organo collegiale ovvero quella del collegio dei docenti, chiamato, a dire della circolare, appena iniziato l’anno scolastico a “programmare e definire” le attività previste per i bambini e per gli alunni che non si avvalevano della religione cattolica nelle scuole elementari e medie, finanche materne; “il Collegio dei docenti provveda subito a programmare le attività previste per gli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica. Ciò fatto, lo stesso Collegio dei docenti ne informerà tempestivamente i Consigli di classe (per la scuola media) e quelli di interclasse (per la scuola elementare) perché questi, al fine di offrire al Collegio dei docenti ogni compiuto elemento di valutazione per la definizione di tali attività, sentano i genitori interessati o chi esercita la potestà; – nelle scuole secondarie superiori, il Collegio dei docenti provveda subito a programmare le attività culturali e di studio per gli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, curando, nelle forme ritenute più opportune, la tempestiva convocazione di detti studenti onde acquisirne proposte utili alla definizione delle attività stesse”.
Secondo quanto si evince dalle suddette sentenze, il non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica non può quindi determinare obblighi di frequenza di attività alternative; l’ora di religione cattolica non è opzionale ad altro e con la sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 1991, antesignana della n.203, si arriva a sostenere che qualora gli alunni decidano di non seguire le attività alternative, proposte dalla scuola, è nella loro facoltà di allontanarsi anche dall’edificio scolastico; si legge infatti: “lo <<stato di non-obbligo>> vale dunque a separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica. Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo <<stato di non-obbligo>> può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola”. In ordine al suddetto principio di allontanarsi dall’edificio scolastico o di posticipare l’ora di entrata, il Consiglio di Stato con due ordinanze, la n.578 e la n.579 del 1987, sospende le decisioni del Tar del Lazio, sentt. 1273 e 1274 del 1987 “nella parte in cui queste affermano il diritto degli alunni non avvalentisi dell’insegnamento religioso o di altro insegnamento alternativo «ad allontanarsi dalla scuola con conseguente riduzione, per loro, del normale orario scolastico» (C.M. n.316/1986).
In ossequio alla sentenza n.13 del 1991, la C.M. del 18 gennaio 1991 n.9 disciplina che deve essere offerta ai non avvalentisi anche la scelta di allontanarsi o di assentarsi dall’edificio scolastico; “l’ulteriore scelta offerta agli studenti non avvalentisi di allontanarsi o di assentarsi dall’edificio della scuola va dunque regolata in base ai seguenti fondamentali criteri: a) quello attinente alle esigenze di buona organizzazione; b) quello attinente alla responsabilità della pubblica amministrazione che ha il dovere di vigilanza sugli alunni con particolare riguardo a quelli minori degli anni diciotto. Sotto il primo profilo è chiaro che l’organizzazione della scuola non consente scelte episodiche, discontinue e disordinate”.
In verità la sentenza n.13/1991 rimanda ad un’altra circolare ministeriale, la n.188 del 25 maggio 1989, avente ad oggetto “Nuovo modello riguardante l’esercizio del diritto di scelta se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica”; infatti nel suddetto allegato, unito alla circolare, si presentavano le attività che gli alunni non avvalentesi potevano scegliere: attività didattiche formative, attività di studio e/o di ricerca individuali o altrimenti nessuna attività.
Resta fermo il fatto che la possibilità di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica non è subordinato all’accettazione di altre attività organizzate dalla scuola, anche se, tuttavia è compito di quest’ultima predisporle nei tempi opportuni.
Sulla facoltatività delle attività alternative alla religione cattolica è intervenuta una recente sentenza del Consiglio di Stato del 7 maggio 2010, la n.02749 che in un passo, si è soffermata proprio su questo aspetto specifico, relazionando quanto segue: “la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglia: la scelta di seguire l’ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall’assenza di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente ad incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all’istruzione sancito dall’art. 34 Cost. Ciò evidentemente non contraddice il carattere facoltativo dell’insegnamento alternativo: tale insegnamento è, e deve restare, facoltativo per lo studente, che può certamente non sceglierlo senza essere discriminato, ma la sua istituzione deve considerarsi obbligatoria per la scuola
Le modalità operative per arrivare all’organizzazione di tali attività possono essere rintracciate all’interno della C.M. n.316 del 1987: “l’organizzazione delle lezioni e, in tale ambito, la collocazione dell’insegnamento della religione cattolica (così come la contestuale offerta di attività, spazi attrezzati e servizi ad esso alternativi) dovranno essere attuati dal capo d’istituto, sentito il Collegio dei docenti, secondo criteri volti a perseguire il miglior grado di razionalità ed efficacia didattica e nel contempo intesi ad evitare ogni forma, anche indiretta, di discriminazione o disimpegno oltre che a costituire elemento di vincolo o di rigidità per l’orario delle altre materie. Si richiama, altresì, l’attenzione dei capi d’istituto e, tramite essi, di tutti i docenti sulla necessità di una scrupolosa vigilanza affinché l’articolazione della classe – per la contestuale presenza di alunni avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica ed alunni non avvalentisi – avvenga con la garanzia del pieno rispetto della personalità di ogni studente e della scelta espressa”.
Peraltro nella stessa circolare si accenna ad alcuni aspetti sostanziali delle attività alternative ossia al principio di dover garantire “l’assistenza di docenti a ciò appositamente incaricati e nell’ambito dei locali scolastici”, “la necessità che da parte dei Collegi dei docenti siano formulati dei precisi programmi. A tal fine, quale contributo di indirizzo alla programmazione didattica di competenza dei docenti (…)” e la predisposizione di “locali scolastici in modo coerente con le finalità della scuola”; quest’ultimo profilo della circolare si sofferma, in specie, sul fatto che “il capo di istituto deve sottoporre all’ esame ed alle deliberazioni degli organi collegiali lo necessità di attrezzare spazi, ove possibile, nonché organizzare servizi, assicurando idonea assistenza agli alunni, compito questo che discende dalla natura stessa dell’istituzione”.
In ultimo la circolare n.316/1986 avanza un’altra importante questione ovvero le modalità di utilizzazione del personale. In questo ambito si innesca la Nota n.26482 del 7 marzo 2011 Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato “Pagamento delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica”, la quale precisa: “al fine dell’attribuzione delle ore da liquidare possono identificarsi quattro tipologie di destinatari:
1) personale interamente o parzialmente a disposizione della scuola; 2) docenti dichiaratisi disponibili ad effettuare ore eccedenti rispetto all’orario d’obbligo; 3) personale supplente già titolare di altro contratto con il quale viene stipulato apposito contratto a completamento dell’orario d’obbligo; 4) personale supplente appositamente assunto, non potendo ricorrere ad una delle ipotesi sopra specificate.
Sullo stesso tema interviene un’altra Nota dell’USR Liguria del settembre 2013 la n.6776 che così recita:
a) In via prioritaria i dirigenti scolastici attribuiranno le ore di attività alternative alla religione cattolica ai docenti a tempo indeterminato in servizio nella rispettiva scuola, la cui cattedra sia costituita con un numero di ore inferiore a quello obbligatorio (docenti totalmente o parzialmente in soprannumero), ai fini del completamento dell’orario d’obbligo. Si precisa che non è possibile per i docenti titolari di cattedra orario esterna completare nella prima scuola con ore di attività alternative.
b) Nel caso in cui non si possa procedere come indicato nel precedente punto a), i dirigenti scolastici conferiranno le ore alternative alla religione cattolica come ore eccedenti l’orario d’obbligo. Come previsto dal comma 4 dell’articolo 22 della Legge Finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448, l’assegnazione spetta a coloro che, in servizio nella scuola come docenti a tempo indeterminato e come supplenti con nomina fino al termine dell’anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, abbiano già completato l’orario di cattedra, ed abbiano manifestato la propria specifica disponibilità. L’invito a comunicare la disponibilità a svolgere le ore alternative deve essere rivolto a tutti gli insegnanti in servizio.
c) Qualora non sia possibile procedere sulla base di quanto previsto nei punti precedenti, i dirigenti scolastici potranno stipulare contratti a tempo determinato con supplenti già in servizio per spezzoni orario o contratti a tempo determinato ex novo con aspiranti alle supplenze inclusi nelle graduatorie d’istituto”.
Tali note ministeriali lasciano quindi intendere che le ore alternative alla religione cattolica richiedono, da parte dei dirigenti scolastici, di essere debitamente programmate, con l’impiego di apposito personale.
Su tale tematica in oggetto, gli ultimi provvedimenti in ordine di tempo sono la C.M. n.18 del 4 luglio del 2013 “Adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto”, nella quale espressamente si legge: “si ricorda che deve essere assicurato l’insegnamento dell’ora alternativa alla religione cattolica agli alunni interessati, rammentando che è stata diramata una nota ( n. 26482 del 7 marzo 2011) che chiarisce i vari aspetti della materia e detta istruzioni per la parte relativa alla materia contrattuale e retributiva”; la C.M. n.34 del 2014 “Dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico 2014/2015” che aggiunge “per quanto concerne le ore di insegnamento delle materie alternative alla religione cattolica, si ricorda che il 7 dicembre 2011 è stata rilasciata la procedura per l’invio telematico dei contratti a tempo determinato per l’insegnamento di tali attività che restato regolati dalle disposizioni e dai chiarimenti fino ad ora forniti (nota n. 26482 del 7 marzo 2011)”.
Si ravvisa quindi per le scuole l’obbligo di determinare, per gli alunni non avvalentesi, attività alternative alla religione cattolica e quella di incaricare specifici docenti allo svolgimento di queste ultime, fatta salva comunque la possibilità di astenersi.
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Di seguito, una serie di video sul suolo fondamentale che l'ora di Religione può svolgere nella carriera scolastica dell'allievo e nel suo processo di crescita intellettiva e spirituale.







Gli istituti tecnici superiori: uno strumento per combattere la disoccupazione.


Una buona notizia per quanti non riescono a trovare lavoro o vogliono migliorare la loro condizione sociale.

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Il ragazzo di vent’anni che sta ai comandi, presto, prenderà il largo. Per ora si accontenta di trascorrere i pomeriggi nel simulatore dell’Istituto tecnico superiore di Gaeta, la scuola legata a doppio filo ai grandi armatori dell’area. Anche nel Sud della disoccupazione record ci sono corsi che riescono a creare posti di lavoro, ben retribuiti e a tempo indeterminato. Non si tratta né di licei né di università: la terza via, quella che - in tutta Italia - si sta dimostrando vincente, si chiama Its. Poco conosciuti, gli Istituti tecnici superiori sono strutture post-diploma ad alta specializzazione che puntano alla formazione e all’inserimento del mondo del lavoro di superprofessionisti: giovani di ventidue, ventitré anni, pronti a entrare in azienda.  

Inaugurati quattro anni fa, finora hanno garantito un tasso d’occupazione sorprendente, superiore al 64%, con punte che, in alcuni settori, raggiungono il 100%. Per certi aspetti rappresentano una novità: sono Fondazioni di cui fa parte almeno un istituto scolastico, un ente di formazione professionale, una realtà del mondo accademico o della ricerca e un’impresa. Scuole modellate secondo le necessità del territorio: il Malignani di Udine è specializzato in meccanica per l’aeronautica, il Fistic di Cesena in tecnologie per il marketing e la comunicazione. «Questa nuova modalità – spiega il presidente del Centro nazionale opere salesiane Mario Tonini – può essere efficiente solo se ha i mezzi e la libertà di personalizzare». Il modello è quello tedesco. Lezioni e lavoro, lunghi tirocini (retribuiti) e aziende che possono pescare tra giovani che conoscono bene, senza bisogno di stage e costosi percorsi di formazione.  

Il paradosso, tutto italiano, è rappresentato dal numero d’iscritti: poco più di cinquemila, una goccia nel mare degli studenti che ogni anno tentano la strada dell’università e, inevitabilmente, mollano. Fra i trentenni solo il 20,3% ha la laurea contro una media europea che sfiora il 35%. Il tasso di abbandono, negli atenei tradizionali, è altissimo: oltre il 15% lascia al termine del primo anno. Il fenomeno dell’«overeducation» - l’impossibilità di trovare un posto all’altezza del proprio titolo di studio - colpisce un dottore in lettere su due e un ingegnere su tre. E allora, ragiona chi si occupa di risorse umane, non sarebbe meglio scommettere subito su un percorso professionale?  

Al ministero dell’Istruzione gli Its sono considerati un gioiellino da incoraggiare. «Siamo ancora in fase di start-up, ma i risultati sono positivi», dice il sottosegretario Gabriele Toccafondi. Nei mesi drammatici in cui la disoccupazione giovanile ha sfondato il 40% rafforzare il patto tra scuola e mondo del lavoro è diventato una priorità. Di più, l’unica strada possibile. «Gli Its funzionano solo se nascono dall’esigenza della realtà, cioè se rispondono al bisogno formativo dei ragazzi e alla necessità dei datori di trovare – avvisa Toccafondi -. Occorre che le aziende siano direttamente coinvolte nei corsi, per formare figure professionali di cui hanno bisogno ma che non riescono a trovare».  

Quando si riesce a innescare il circolo virtuoso, i risultati arrivano: l’Istituto di Scandicci, con sede nel castello dell’Acciaiolo, sforna professionisti della moda per i gruppi toscani, da Gucci in giù. Da settembre, per promuovere i percorsi tecnici, l’esecutivo farà uno sforzo in più. «Per gli Its il Miur stanzia 13 milioni, cui si aggiungono i contributi delle Regioni, pari al 30% delle risorse statali – dice Toccafondi -. Per spingere il merito d’ora in poi i fondi non saranno più distribuiti a pioggia, ma verranno premiate le scuole migliori. Tramite l’agenzia Indire valuteremo quanti sono gli allievi che trovano lavoro, e se il posto è coerente con il percorso di studi». 

Giuseppe Bottero, Dopo il diploma la specializzazione, e il posto di lavoro si trova, "La Stampa", 24-08-14. 

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Sotto, una serie di video sugli istituti tecnici superiori: