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lunedì 21 aprile 2014

Impariamo il linguaggio dei computer.

   
Il linguaggio dei computer e la scuola italiana: qualcosa si muove, tra ritardi delle istituzioni ed esempi virtuosi. Perché è qui che si gioca il futuro (non solo lavorativo) dei giovanissimi

“Non comprate un nuovo videogame: fatene uno. Non scaricate l’ultima app: disegnatela. Non usate semplicemente il vostro telefono: programmatelo”. 
Così, in un recente discorso, il Presidente Barack Obama si è rivolto agli studenti americani per stimolarli a imparare un nuovo linguaggio, quello della programmazione – il cosiddetto “coding” –, sostenendo la campagna “Hour of Code ”, lanciata da Code.org per la diffusione delle scienze informatiche. 


                                            



A fronte di questo quadro come si sta muovendo la scuola italiana? Quanto spazio trova la programmazione nelle aule? Come spesso accade nel rapporto tra scuola e digitale ci si trova di fronte a una realtà molto sfaccettata, lasciata per lo più all’iniziativa individuale o a progetti locali. 

Proprio sull’onda dell’iniziativa “Hour of Code”, Nubess , azienda insediata nel polo tecnologico lucchese, lo scorso dicembre ha portato la programmazione nelle classi dei licei paritari Esedra . “Abbiamo rivolto la nostra attività alle classi quarte e quinte, attraverso il gioco abbiamo cercato di introdurre i ragazzi alle regole basilari della programmazione – spiega Stefano Struia di Nubess –. Si è trattato più che altro di una lezione simbolica, ma l’operazione è stata accolta bene dalla scuola, è stata la scintilla che speriamo possa dare un seguito più strutturato all’iniziativa”. 

Sicuramente più strutturata e articolata la situazione in Piemonte, dove una grossa spinta all’insegnamento e all’utilizzo del coding nelle classi arriva dal lavoro congiunto di CSP e dell’Associazione Dschola . “Dopo aver puntato nel 2010 su processing e schede open source Arduino , ci siamo accorti che si trattava di un linguaggio non adatto a ragazzi di 14 anni – spiga Eleonora Pantò , Direttore di Dschola e Digital Media and Content Manager al CSP –. Così siamo passati a Scratch , che si è rivelato decisamente più abbordabile, soprattutto se abbinato all’idea del videogioco”.  

Il canale per entrare nelle scuole è l’Italian Scratch Festival , nato nel 2012 con l’intento di “incentivare l’insegnamento e l’apprendimento dell’Informatica avvicinando alla programmazione in modo creativo gli studenti del biennio delle scuole secondarie superiori”. I ragazzi partecipanti sviluppano videogiochi (qui un esempio dei lavori realizzati nel 2012) e dopo una selezione nazionale si confrontano nella finale in occasione dello Scratch Day (quest’anno il 17 maggio all’ITI Majorana di Grugliasco). 

Tra i più assidui partecipanti all’evento, l’Istituto Istruzione Superiore Vallauri di Fossano, dove la programmazione è di casa da almeno 4 anni. “Usiamo Scratch fin dal primo anno, per permettere ai ragazzi di impratichirsi dei concetti base in modo semplice e ludico – spiega Alberto Barbero, docente di Informatica –. Realizziamo videogiochi come sparatutto, tennis, ping pong, corse delle macchine; per farlo si deve ricorrere a strutture informatiche di base, si impara quasi senza accorgersene”. Dal secondo anno si lavora con App Inventor , fratello maggiore di Scratch, anch’esso sviluppato dal MIT di Boston , fino a sconfinare nei fondamenti della robotica, attraverso la programmazione di Arduino, sempre utilizzando Scratch.  

Mentre Oltreoceano Stem Center ha lanciato una campagna su Kickstarter per Pi-Bot , un robot basato su Arduino utilizzabile per insegnare agli studenti come costruire e programmare il proprio robot, il Bel Paese non sta a guardare. Come dimostrano i vincitori dell’edizione 2013 del premio organizzato dal CSP, Innovation & Creativity 4school : il team dell’ITI Fauser di Novara ha presentato il WiFi Kinetic Rover, controllato, grazie a una scheda Arduino, tramite controllo vocale e attraverso i movimenti della mano. 
Altri interessanti esempi di applicazione di Scratch alla robotica, sono offerti da CoderDojo Roma, che ha partecipato alla Roma Cup di robotica, dando vita a laboratori di programmazione specifici all’interno delle scuole secondarie della capitale, ma anche dall’IC Marco Polo di Fabriano. Qui, nel 2013, Maria Beatrice Rapaccini, attualmente insegnante di matematica in una scuola professionale di Jesi, ha avviato laboratori di programmazione applicata alla robotica, che hanno riscosso grande entusiasmo tra gli studenti.

 

Linguaggio di programmazione estremamente duttile, Scratch viene utilizzato tanto nelle superiori quanto nella scuola primaria. Si rivolgono proprio ai bambini dai 7 anni gli appuntamenti di CoderDojo , movimento nato in Irlanda nel 2011, che si occupa di organizzare incontri gratuiti per insegnare ai ragazzi a programmare. “Usiamo il metodo ‘learning by doing’: dopo un breve tutorial introduttivo, si impara facendo le cose – spiega Agnese Addone, membro di CoderDojo Roma e maestra presso l’Istituto Comprensivo Alfieri Lante della Rovere di Roma –. L’aspetto più interessante è che i bambini sono immersi in un ambiente logico matematico, ma possono dare libero spazio alla creatività e alla fantasia. Il commento tipico dei bambini al termine di un ‘dojo’ è: mi sono costruito un gioco da solo”. E ritorna il passaggio caldeggiato da Obama: da utenti passivi della tecnologia a produttori attivi di contenuti.  

L’Addone ha portato l’esperienza accumulata con CoderDojo all’interno delle sue classi: “Scratch è un linguaggio open source e permette dunque condivisione e remix, ossia il riuso del codice sorgente realizzato da qualcun altro. Si tratta di due elementi fondamentali, con la condivisione posso mostrare quello che ho creato, col remix posso copiare in modo creativo, non rubo un’idea, riconosco il valore dell’attività dell’altro e l’arricchisco”. Inoltre i bambini si trovano a familiarizzare con la logica e, pur non avendolo ancora studiato, si muovono con disinvoltura sul piano cartesiano. “La programmazione diventa uno strumento prezioso nella didattica, non solo per le competenze digitali anche molto avanzate che i bambini acquisiscono già dal quarto anno della scuola primaria, ma perché li stimola moltissimo, li rende più autonomi e spesso anche quelli che sembrano ostacoli, diventano elementi stimolanti – spiega l’Addone –. In classe, ho un computer per 20 bambini, ci siamo organizzati, è diventato un importante esercizio di didattica collaborativa e funziona. Quando vogliamo lavorare tutti assieme facciamo attività di coding unplugged , offline, usando oggetti concreti al posto delle linee di codice”. 

Condivide lo stesso percorso tra scuola primaria e CoderDojo, Caterina Moscetti , che insegna all’Istituto Comprensivo di Sigillo , in provincia di Perugia. “A scuola uso la programmazione per far passare contenuti didattici; con i bambini di terza abbiamo realizzato animazioni in Scretch per sviluppare l’apprendimento della lingua inglese – racconta la Moscetti –. Basta fornire le prime basi di programmazione, poi i bambini vanno avanti da soli”.  




  
Insomma, gli esempi virtuosi non mancano, nemmeno i risultati, quello che manca è fare sistema di tutte queste esperienze. “La programmazione non esiste nel curricolo scolastico, questo è un gap da colmare – sottolinea Agnese Addone –. I programmatori scrivono una lingua che si parla in tutto il mondo, non possiamo permetterci di rimanere isolati”. 

La “lingua” del coding, nella scuola, non si declina solo su Scratch. È molto utilizzato, soprattutto nel scuole del centro Italia, il manuale “Passo dopo passo impariamo a programmare con Python” , nato nel 2009 dal lavoro di Aurora Martina, Angelo Raffaele Meo, Clotilde Moro e Mario Scovazzi e testato con gli alunni della scuola media Peyron – Fermi di Torino, che, come si legge nei ringraziamenti: “hanno fatto allegramente da cavie, tuffandosi per la prima volta nel profondo mare della programmazione. P. S.: nessuno è annegato”. 

L’iniziativa è partita da un’idea del Professor Meo, che voleva trovare un modo per valorizzare l’importanza della logica e del ragionamento nei processi di apprendimento. La programmazione risponde proprio a questa esigenza. “Abbiamo scelto Python innanzitutto perché è un software open source – spiega Mario Scovazzi –. Sicuramente è un linguaggio più complesso rispetto a Scratch, soprattutto all’inizio i ragazzi devono faticare un po’, ma offre poi grandi potenzialità”. “Python oggi viene usato per scrivere moltissime app, è impiegato in attività di robotica e importanti software del Cern sono programmati in Python”, aggiunge il Prof. Meo. 

La scelta si è rivelata lungimirante e le risposte sono state positive fin da subito. “Non si insegnano gli algoritmi ai ragazzi, ma dando loro gli elementi per sviluppare un ragionamento logico è il ragazzo stesso che arriva a creare l’algoritmo che gli serve; e questo mi sembra un ottimo risultato – sottolinea Clotilde Moro –. Se poi vogliamo riuscire a colmare il grave gap informatico che ci caratterizza, temo che non basti la riforma del sistema scolastico; bisognerebbe rivedere la mentalità di chi ha potere decisionale e di molti docenti, ancora troppo analogica”.

Luca Indemini,  Programmare ?  E' un gioco da bambini., "La Stampa" del 16-04-14.

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