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lunedì 6 aprile 2015

Bullismo: la parola a Franco Cardini.

[...]  Da molti anni, in tutto l’Occidente ma forse in particolar modo da noi in Italia, la società sta attraversando una crisi etica e identitaria il centro della quale sta nel rapporto tra l’individuo e la comunità, cioè nell’equilibrio tra diritti e doveri senza il quale un consorzio umano è incapace di reggersi.
Tra Anni Sessanta e Anni Settanta imboccammo con qualche esitazione ma con una scelta irreversibile la strada del “vietato vietare”: la via nella quale – con un singolare paradosso - era strettamente proibito qualunque atteggiamento di quelli che allora si definivano “repressivi”; al contrario, era necessario adottare la più larga e generalizzata permissività. I concetti di autorità e di autorevolezza vennero allora fatto oggetto di una critica demolitrice che lo confondeva con quello di autoritarismo; e più o meno tutti ci piegammo a quella nuova forma di tirannia. Molti lo fecero in quanto intimamente convinti, parecchi per conformismo o per pigrizia, qualcuno in malafede politica in quanto convinti che ciò avrebbe minato alle basi la “società borghese” e favorito la “rivoluzione”. Furono proprio la scuola e la famiglia gli àmbiti privilegiati per quell’esperimento.
Le condizioni particolari in cui si era sviluppata quella bislacca e socialmente autolesionistica cultura svanirono abbastanza presto, ma la tendenza rimase anche perché si sposava bene con le tendenze consumistiche e con la fuga dalle responsabilità. Da allora, venne progressivamente meno l’autorità generazionale specie all’interno dei nuclei familiari e nella scuola. I risultati di ciò, specie in termini di convivenza sociale, non tardarono a mostrarsi: basti pensare alle nostre strade, ai giardini pubblici, alle cabine telefoniche divelte, ai treni e agli autobus dove viaggiare senza biglietto, sporcare i sedili e riempire le pareti di “graffiti” divenne la norma. Anche il rimproverare i giovani, i giovanissimi e addirittura i bambini per comportamenti ritenuti scorretti divenne qualcosa di contrario alla political correctness.
La crescita esponenziale del bullismo nelle nostre scuole è, in particolare, un fenomeno sociale ormai dilagante e che trova la sua origine profonda nell’impunità, anzi nell’incontrollabilità, della quale troppi dei nostri ragazzi godono in famiglia. Si assiste anzi al fenomeno di genitori che, per un malinteso senso protettivo o per una profonda consapevolezza d’incapacità a farsi valere, appoggiano i loro figli nel caso la scuola contesti loro comportamenti scorretti se non addirittura violenti. La fine della sistematica solidarietà tra famiglie e istituzioni scolastiche, uno dei drammi strutturali più gravi della nostra società, è approdata a una quasi sistematica solidarietà tra genitori e figli contro gli educatori.
Come sempre accade nel caso delle malattie croniche trascurate, la situazione è ormai arrivata a un livello insostenibile. Se davvero si vuol rifondare una “buona scuola”, bisogna partire da qui. La lotta contro questa crisi d’autorità ormai giunta a livelli pericolosi per la stessa sopravvivenza della società. La lotta per la fondazione di un nuovo vero patto sociale tra i cittadini italiani, che coinvolga e responsabilizzi tutti, a cominciare dai giovanissimi. La stessa difesa della famiglia comincia da qui: altrimenti, qualunque provvedimento sociale o economico o fiscale in favore die nuclei familiari sarà vano.
Ma il punto è che le ordinarie misure disciplinari, e nei casi più gravi addirittura giudiziarie, si stanno ormai rivelando non solo insufficienti, bensì addirittura inefficaci. Per ottenere di nuovo la collaborazione delle famiglie all’istituzione scolastica e la responsabilizzazione dei giovani più refrattari all’educazione, è opportuno colpire l’unico residuo punto debole delle une e degli altri: l’unica realtà alla quale essi – cadute quelle civiche e morali – siano sensibili. L’elemento economico, la sanzione pecuniaria.
I docenti scolastici sono e restano pubblici funzionari: ebbene, s’introducano con rigore nelle scuole (e magari nelle università) gli stessi princìpi che valgono in autobus o in treno per costringere gli inadempienti a pagare il biglietto e per evitare o combattere efficacemente qualunque forma di resistenza a pubblico ufficiale. Ammende pecuniarie serie, pesanti, concretamente ed efficacemente riscosse, nei confronti delle quali si sappia che i ricorsi sono inutili (non cosucce eliminabili dalle decisioni di qualche TAR). S’introduca nella scuola il principio che le censure per comportamento scorretto (un tempo si diceva “cattiva condotta”), traducendosi in un danno immediato anche per l’efficienza di un pubblico servizio, possano comportare multe e forte aumento delle tasse scolastiche. In questo modo, forse, le famiglie saranno indotte a collaborare e i figli indisciplinati invitati drasticamente ad adottare comportamenti migliori nel loro stesso interesse. Toccando le une e gli altri su quanto ormai hanno di più sacro al mondo. Sull’unica cosa che ormai sembra rimasta sacra. Il portafogli.

1 commento:

  1. Il bullismo emerge in una società che è totalmente indifferente verso tutte quelle forme di violenza e di prevaricazione che colpiscono i soggetti più deboli, molte volte gli stessi genitori e insegnanti tendono a sottovalutare il fenomeno considerandolo una manifestazione "dell'esuberanza adolescenziale".
    Il "bullo" non va condannato e bollato semplicemente come cattivo,ma bisogna innanzitutto seguirlo e insegnargli il rispetto per gli altri se se si vuole evitare che un domani diventi un adulto violento che picchia moglie e figli.
    Simone Atzu 3Ns

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