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lunedì 8 febbraio 2016

Bestiario ideologico. L'abolizione del voto di condotta.

“Basta con il voto in condotta, va abolito”. A lanciare la proposta, destinata ad aprire un nuovo dibattito nel mondo della scuola, è l’onorevole Milena Santerini, ex “Montiana”, ora del gruppo “Democrazia solidale”. Da settimane la deputata sta lavorando ad un disegno di legge che ben presto sarà depositato alla Camera. L’obiettivo della Santerini è chiaro: contrastare il più possibile la dispersione scolastica alla scuola secondaria superiore e ridare legittimità all’educazione alla cittadinanza”. Così l’incipit dell’articolo di Alex Cortazzoli sul “Fatto Quotidiano” del 1° febbraio.

Com’è noto, il voto di condotta può influire in due modi sulla valutazione finale. Influisce sull’ammissione all’esame di Stato se va da 6 a 10, ma pochissimo, perché fa media con molte materie. L’obbiettivo principale di Milena Santerini è però il secondo modo, il 5 in condotta finale con il quale si ripete l’anno. Infatti afferma con sicurezza: “Non si capisce perché un giovane che ha un otto in matematica debba ripetere l’anno se ha l’insufficienza in condotta. Di fronte a dei comportamenti scorretti, dobbiamo trovare altre soluzioni, delle punizioni esemplari, dei percorsi di volontariato, ma non possiamo penalizzare con la bocciatura un ragazzo”.
La deputata di “Democrazia solidale”, tra l’altro docente di pedagogia all’università Cattolica di Milano, dimostra di conoscere poco il mondo della scuola; infatti in quasi tutti i casi di bocciatura l’insufficienza in condotta si accompagna a numerose e gravi insufficienze nelle materie. Ma anche se ci fossero casi di studenti virtuosi nello studio, responsabili però di comportamenti molto gravi, la loro mancanza di rispetto delle regole a maggior ragione dovrebbe pesare nel giudizio finale per l’esempio negativo che darebbero ai loro compagni. E comunque, quanti sono stati finora i casi di ripetenza per via del comportamento? La Santerini non ce lo dice, ma c’è da scommettere che siano una percentuale minima. È quindi assurdo pensare di combattere l’insuccesso scolastico “depenalizzando” il 5 in condotta.
Si tratta, allora, del buonismo tipico di buona parte dei pedagogisti, i quali ritengono che per far crescere la società italiana occorra creare un senso di cittadinanza, integrare le nuove generazioni, far dialogare le culture e mettere al centro del rapporto didattico gli allievi, ma poco parlano di una scuola esigente sul piano dell’apprendimento e del comportamento, svalutando così fortemente il ruolo dei docenti.
Infatti si affida alla scuola la funzione di formare l'uomo e il cittadino (possibilmente del mondo, non del proprio Paese, nei confronti del quale si è solo dei rivendicatori di diritti, liberi da ogni dovere), ma a questo scopo un voto di condotta che abbia delle conseguenze viene considerata una forma arcaica di controllo sugli individui e un’illegittima interferenza sulla valutazione del profitto. Invece la disciplina scolastica e il relativo voto di condotta non solo servono a educare alla convivenza civile, ma sono parte essenziale della formazione degli allievi e non una limitazione della loro personalità. Gli studenti sono ragazzi che crescono, che scoprono se stessi, che si misurano con gli altri e così conquistano il principio di realtà.
Ma il voto di condotta serve in modo particolare allo studente socialmente e culturalmente svantaggiato, tendenzialmente dropout, che non è certo il buon selvaggio guastato dalla società di cui parla Rousseau. È spesso un ragazzo cresciuto in un mondo senza regole, dove è frequente la prevaricazione, e ha bisogno più di altri di appoggiarsi alle certezze delle regole di una scuola in cui vige il principio di autorità e quello della responsabilità personale. Senza di che resterebbe confinato anche da adulto nel mondo di marginalità da cui proviene; e di questo dovrebbe ringraziare proprio il buonismo dei “progressisti” e dei pedagogisti. 

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