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giovedì 15 maggio 2014

L'alternanza tra scuola e lavoro come mezzo per ridurre la disoccupazione giovanile.



Per anni, ogni mattina, Andrea ha infilato in cartella il camice da lavoro. Un grembiule di colore blu o marrone, di stoffa dura e resistente, adatto ad affrontare un’impegnativa giornata di scuola. Per anni quel camice, tra un’ora di italiano e un’altra di matematica, ha preservato immacolati i suoi vestiti mentre si esercitava con squadre, sgorbie e scalpelli nell’arioso laboratorio di falegnameria. Ha questo di affascinante l’Isis-Ipsia Giuseppe Meroni di Lissone (MB): è un luogo dove, letteralmente, si impara facendo, dove teoria e prassi vanno a braccetto, senza che l’una o l’altra sia stimata di rango superiore. Esiste un’”intelligenza manuale” che solo una boriosa tendenza culturale italiana può ritenere inferiore. Invece si può imparare col libro, ma anche con la lima. Seduti e chini sui manuali, ma anche in piedi con le scarpe che sfregano tra i trucioli.

Tutto si tiene nella scuola di Lissone. E funziona. Come, a fine giornata, testimoniano tanti camici sporchi. Certo, senza nulla lasciare al caso, perché anche chi “impara facendo” ha sempre bisogno di un maestro, che, in questo caso, non sta solo dietro la cattedra a impartire la lezione, ma gira tra i banchi di lavoro, mostrando come manovrare sofisticati macchinari di taglio a controllo numerico. Perché questo è il Meroni: Istituto del legno, del mobile e dell’arredamento, dei servizi commerciali aziendali e del turismo, della grafica e della comunicazione e liceo artistico con indirizzo di design.

ipsia-meroni-1L’IMPORTANZA DELLO STAGE. 
Andrea si è diplomato da meno di un anno e già lavora. Quando ripensa ai giorni di scuola al Meroni, ne parla con orgoglio. «Ho amici che stanno facendo l’università – confida a tempi.it –, ma mi dicono di non aver nessuno che insegni loro come tradurre in pratica tutta la teoria appresa sui libri». Andrea, invece, ha avuto questa fortuna, grazie soprattutto a uno stage presso un artigiano locale. Uno stage di tre settimane che la scuola ha fortemente voluto inserire nel piano studi e che, nel suo caso, ha iniziato a dare i frutti sperati. “Imparare facendo”, già a partire dagli anni di scuola: è questo il trucco.

Anche Sofia, compagna di classe di Andrea, è diplomata da meno di un anno e già lavora per un’impresa che si occupa di arredamenti e interni. Ha sempre avuto il pallino per i negozi e l’alta moda e, quando si trattò di scegliere dove svolgere lo stage, seguì questa sua inclinazione, misurandosi in un’azienda specializzata in arredamenti su misura: «Le prime volte che andavo in negozio – racconta a tempi.it -, quasi non sapevo nemmeno come rapportarmi con i clienti, ma pian piano ho imparato a farlo senza più alcuna difficoltà. Non tutti i miei coetanei, purtroppo, hanno avuto l’occasione di poterlo imparare prima di finire la scuola».

GLI STUDENTI E LE AZIENDE. 
ipsia-meroni-alunniStorie come quelle di Andrea e Sofia sono la regola e non l’eccezione al Meroni di Lissone, una scuola che ha alle spalle 130 anni di tradizione ed esperienza nella formazione professionale dei tecnici del legno e che, nell’anno accademico in corso, conta 912 iscritti, per un totale di 39 classi e 6 diversi indirizzi. In particolare, è dal 2005 che gli alunni delle classi terze, quarte e quinte, godono dell’opportunità di svolgere periodi di alternanza tra scuola e lavoro. Si tratta di due settimane di stage in terza e tre in quarta, da svolgersi tra il primo e il secondo quadrimestre; più altre tre settimane in quinta, a settembre, cominciando una settimana prima dell’inizio delle lezioni. Per un totale di circa 330 alunni coinvolti ogni anno. A queste si somma la possibilità di partecipare a percorsi di orientamento al termine degli studi, finanziati per lo più grazie a iniziative regionali come la Dote Lavoro e il progetto Fixo, che sono volti ad aiutare i diplomati a trovare tirocini extracurriculari adatti ad affinare la loro formazione.

Ciò non esclude affatto la possibilità di proseguire con gli studi di formazione professionale superiore o in università, soprattutto architettura e ingegneria. Spesso, però, sono le aziende del territorio a cercare direttamente i diplomati del Meroni per fare loro una proposta, magari dopo aver già avuto l’occasione di conoscerli durante le esperienze in alternanza. E non è raro nemmeno che qualche studente si prodighi per replicare gli stage in azienda già durante la pausa estiva, sia per crescere professionalmente sia per pagarsi le prime vacanze.


PICCOLE E GRANDI IMPRESE. 
Eugenio Perego, docente da vent’anni al Meroni e responsabile delle attività in laboratorio e organizzazione degli stage, ci racconta che «negli ultimi dieci anni i nostri diplomati hanno tutti trovato un impiego nei primi sei mesi dal conseguimento del diploma, anche dopo che è scoppiata la crisi. E le aziende del territorio vorrebbero avere i nominativi dei nostri studenti già prima del termine del quinto anno».

Le aziende coinvolte nei programmi di alternanza sono le famose piccole e medie imprese a conduzione familiare, tanto bistrattate eppure tanto essenziali alla nostra economia. Ma non mancano anche nomi più altisonanti, anche se, prosegue Perego, ciò che conta è che l’esperienza dello stage, ovunque sia, segni una maturazione del ragazzo, professionale e umana. «E le assicuro che quando tornano sono tutti entusiasti, perché hanno messo in pratica ciò che hanno imparato a scuola». Senza contare, poi, che, «il fatto di trovarsi per la prima volta a dover fare i conti con una normale giornata lavorativa di 8 ore, li responsabilizza. Lo stage, infatti, è la prima occasione in cui i ragazzi si trovano, in un certo senso, da soli, anche se sono sempre seguiti da un tutor di riferimento».


ipsia-meroni-5UNO STATO POCO LUNGIMIRANTE. 
Un metodo intelligente, una scuola pubblica che funziona. E che fa lo Stato? La ostacola. Il Meroni, come tutti gli istituti professionali, ha subito a suo tempo l’ingiustificato taglio delle ore di laboratorio da 9 a 5, contestualmente alla riduzione dell’orario di lezioni da 40 a 32 ore settimanali. Come chiunque in Italia voglia spingere l’acceleratore sull’alternanza tra scuola e lavoro, anche il Meroni si imbatte in una serie di complicazioni burocratiche da mettersi le mani nei capelli. Se gli stage funzionano, aiutano gli studenti a imparare, magari aprono loro qualche possibilità di impiego, perché lo Stato non sprona le aziende a impegnarsi in tal senso? Se lo chiede il preside del Meroni, Roberto Pellegatta, rammaricato per la poca lungimiranza del nostro paese che, «a differenza di ciò che succede in Germania, ma anche in Francia, Portogallo, Olanda e Danimarca, non corrisponde alcuna forma di incentivo alle imprese per sostenere l’alternanza».
«In Germania, dove l’alternanza è valorizzata al massimo – prosegue Pellegatta –, la disoccupazione giovanile è al 7 per cento; da noi, invece, è superiore al 40 per cento e oltre 2 milioni di giovani non studiano né lavorano». Queste sono le conseguenze di un sistema che non valorizza l’originalità e la ricchezza della sua scuola pubblica, nemmeno – e questo è il “delitto” più grave – laddove essa funziona e dà risultati.

Senza contare, aggiunge Pellegatta, che «anche lo schema di decreto interministeriale tra Istruzione, Finanze, Politiche sociali e Lavoro su apprendistato e alternanza rischia di rivelarsi, purtroppo, l’ennesima delusione, perché aumenta, le difficoltà (obblighi e vincoli, prescrizioni e documenti) delle aziende e il centralismo dello Stato. Ribadendo, ad ogni rigo, che ogni tentativo di percorsi in alternanza tra scuola e lavoro può avvenire senza oneri per la finanza pubblica».



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Basta cliccare su un menù a caso di un qualsiasi motore di ricerca di lavoro online per accorgersi che in questo paese le figure più ricercate dalle aziende che ancora assumono sono i periti. Periti chimici, tessili, elettronici o meccanici. Giovani, al massimo 25enni, e con in tasca un diploma tecnico o professionale. Niente lauree né master. Serve sì gente che ha studiato, ma che l’ha fatto provando fin da subito a mettere – come si suol dire – “le mani in pasta”. Chi lavorando il legno, chi intrecciando stoffe e chi programmando circuiti.

BENE LA TEORIA, MA LA PRATICA? 
Eppure non è così semplice trovare le persone adatte alle posizioni aperte. Non lo è anche a motivo di un tarlo del nostro sistema della formazione tecnica e professionale. Ovvero il fatto che l’alternanza scuola-lavoro, tra le ore spese sui banchi, con una penna in mano, e quelle passate in azienda a imparare il mestiere tra le macchine e le prime indicazioni dei capireparto, costituisce purtroppo più un’eccezione che non la regola. Chi oggi in Italia sceglie l’alternanza, infatti, normalmente trascorre solo due o tre settimane l’anno in azienda, e solo dal secondo o terzo anno. Per il resto deve accontentarsi del laboratorio. Sempre che la sua scuola ne abbia uno.

Così, mentre in Germania il “sistema duale” detta legge e moltissimi ragazzi di fatto studiano in azienda (aziende top come l’Audi, che ha una scuola all’interno del suo stabilimento), passando ogni settimana, grazie all’apprendistato, dalla classe al reparto e viceversa, i nostri periti escono praticamente “zoppi” dall’esame di quinta. È quello che dice a tempi.it Nadia Barelli, responsabile delle risorse umane in Carvico e Jersey Lomellina: «La nostra impressione che i ragazzi siano ben preparati a livello teorico, meno dal lato pratico». 


IN AZIENDA SI IMPARA DI PIÙ. 
La diagnosi è semplice: i giovani periti italiani «mancano di praticità», sentenzia Barelli, la cui azienda è specializzata nella produzione di tessuti indemagliabili come la lycra, impiegati soprattutto nella realizzazione di costumi e altri indumenti tecnici per attività sportive. «Noi cerchiamo ragazzi diplomati da inserire in produzione, ovvero in tintoria, tessitura e finissaggio – spiega Barelli – preferibilmente con diploma di perito tessile o perito chimico tintore. Purtroppo, però, i ragazzi iscritti a questi indirizzi di studio sono veramente pochi… tanto che abbiamo cominciato a prendere in considerazione anche i periti elettrotecnici». Anche in questo caso, però, i candidati presentano spesso difetti di esperienza manuale e di lavoro in team: «Meglio sarebbe per loro abbinare alla teoria in classe più ore di prove sul campo, avendo magari anche la possibilità di utilizzare attrezzature e apparecchiature moderne. Così che, una volta inseriti nel mondo del lavoro, si sappiano destreggiare più autonomamente. Questo li spaventerebbe di meno e consentirebbe loro di affrontare il mondo lavorativo più sicuri delle proprie capacità».

L’ESPERIENZA SI VEDE. 
Gli stessi limiti sono constatati anche da Paolo Motta, responsabile risorse umane delle Fonderie Mario Mazzucconi, che realizzano componenti per auto come le scatole dello sterzo o le testate del motore dove si innestano i cilindri: «Ci capita spesso – confida a tempi.it – di ospitare qualche studente in brevi progetti di alternanza tra scuola e lavoro in collaborazione con istituti del territorio, e devo dire che è qualcosa che li aiuta molto nel processo di apprendimento. Infatti, si vede subito quando un ragazzo ha avuto la possibilità di stare in azienda, anche solo per poche settimane: è più pronto dei suoi colleghi ad affrontare le situazioni che gli si presentano e più incline alle dinamiche di lavoro in gruppo. Ma si tratta di un tipo di esperienze che andrebbe rafforzato».

FACCIAMO COME I TEDESCHI. 
Conferma Emanuela Voltini, direttore della divisione Settori e Specializzazioni di Adecco Italia, una tra le principali agenzie per il lavoro, che ricorda a tempi.it: «Stiamo parlando di periti meccanici, elettromeccanici, saldatori, manutentori, ma anche potenziali capireparto e responsabili della logistica; profili tecnici, insomma, che variano da territorio a territorio, ma che sono sempre richiestissimi dalle nostre aziende. Devono avere una predisposizione a lavori molto specializzati e automatizzati e devono saper utilizzare sofisticati macchinari come quelli a controllo numerico». E aggiunge: «Ci sono paesi in Europa, come la Germania, dove il sistema dell’alternanza scuola-lavoro è più sviluppato, e là i ragazzi capiscono prima e meglio quali percorsi possono seguire e a quali sbocchi professionali possono aspirare. L’Italia è ancora ricca di scuole che rappresentano eccellenze uniche: è nostro compito offrire quei servizi di orientamento che possono aiutare i ragazzi a conoscerle, con tutte le possibilità di cui già possono disporre». La stessa Adecco sta provando a contribuire Adecco con il tour ”TecnicaMente” (qui il programma), durante il quale «i diplomandi degli istituti tecnici hanno l’opportunità di conoscere più da vicino qualche azienda».




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Sotto, una serie di video sull'argomento:



































1 commento:

  1. Le scuole professionali hanno avuto successo, soprattutto in alcune nazioni durante il comunismo, perché permettevano
    agli studenti, che non potevano proseguire gli studi, una preparazione tale per essere competitivi, sin da subito, nel mondo lavorativo.

    L'esempio della scuola di Lissone ci rivela un'ideologia simile. La scuola prepara gli studenti e dona delle conoscenze basilari in alcuni campi lavorativi. Questo non è soltanto un buon metodo per disciplinare i ragazzi, ma anche un'occasione per poter accumulare esperienza, che poi sarà utile in futuro. Ovviamente, questi programmi possono essere costosi per lo Stato,specialmente se bisogna rinnovare gli strumenti di lavoro. Quindi, questa decisione di ridurre le ore di laboratorio e l'orario delle lezioni, non credo sia d'aiuto ai giovani; anzi, in questo modo c'è il rischio che possano perdere l'interesse in alcune materie.Nelle scuole americane, e recentemente anche in diversi stati europei, si sta affermando un programma speciale chiamato"Junior Achievement", che dà la possibilità ai liceali di capire come creare i loro business, e il corretto modo di amministrarli, spiegando i vari vantaggi e limiti.
    Il successo del progetto prova che gli studenti preferiscono imparare lavorando, piuttosto che attraverso i classici modelli di
    insegnamento.
    Quindi, l'alternanza tra scuola e lavoro aiuta i giovani ad essere motivati e preparati per il domani, per cui il sostegno da parte
    dello Stato per questi progetti dev'essere massimo.

    Angelo Faenza - 3^Os

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