Per le scuole svizzere all’estero si aprono strade promettenti. La nuova legge ha posto le basi per allargare l’offerta all’apprendistato, un modello di successo elvetico, per il quale cresce l’interesse internazionale. Ma per raggiungere le mete ci vorranno tempo e impegno.
La nuova Legge sulla diffusione della formazione svizzera all’estero dà a queste scuole la possibilità di estendere l’offerta sovvenzionata dalla Confederazione, creando anche un curricolo di formazione professionale di base che coniuga la formazione pratica in azienda con l’istruzione teorica nella scuola. L’esportazione del modello elvetico di apprendistato, che suscita sempre più interesse all’estero, è del resto una priorità strategica della Confederazione nell’ambito della cooperazione internazionale in materia di formazione.
“Vogliamo cercare di diffondere la formazione duale a livello internazionale perché siamo convinti che è un buon tipo di formazione”, spiega Gaétan Lagger, sostituto capo Progetti internazionali in materia di formazione presso la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI). E le scuole svizzere all’estero “potrebbero dare un impulso supplementare alla nostra strategia”.
Esempi precursori
Benché sia ancora in fase di discussioni preliminari, l’idea suscita interesse. Alla Conferenza annuale 2014 di educationsuisse, l’organismo centrale delle scuole svizzere all’estero, la formazione professionale duale è stata il tema principale, precisa il suo presidente Derrick Widmer.
Modello elvetico sì, ma con adattamentiGarantire una qualità di formazione dello stesso livello di quella nella Confederazione e al contempo una capacità di adattamento a strutture e condizioni locali: è questa la chiave del successo dell’esportazione del modello svizzero di apprendistato, concordano Marco Mathis, delegato della SITECO per il campus di formazione professionale duale a Cikarang, sull’isola indonesiana di Giava, e Arthur Glättli, responsabile di Swissmem per il progetto ‘Swiss VET Initiative India’. Per la sua riuscita in altri paesi, è fondamentale implementare il modello svizzero con la strategia del bottom-up e con i dovuti accorgimenti, sottolinea Marco Mathis.
I rappresentanti di questi istituti hanno così potuto scoprire nei dettagli due esperienze elvetiche che fungono un po’ da battistrada: degli apprendistati di polimeccanica e meccatronica in Indonesia, tramite la SITECO (Association for Swiss International Technical Connection), e in India, attraverso una collaborazione tra enti pubblici e privati.
Entrambi i progetti hanno incontrato ostacoli. “Il maggior problema è trovare aziende locali disposte a finanziare la formazione”, dichiara Arthur Glättli, responsabile dell’associazione dell’industria metalmeccanica ed elettricaSwissmem per il progetto ‘Swiss VET Initiative India’. La stessa difficoltà è stata affrontata in Indonesia, dove è stata superata in modo originale: la scuola professionale in cui viene impartito l’insegnamento teorico è proprietaria dell’azienda in cui viene effettuata la formazione pratica, spiega Marco Mathis, delegato della SITECO.
Le scuole svizzere all’estero che vorranno lanciarsi nella formazione professionale di base potranno trarre insegnamenti dalle esperienze conseguite in questi progetti pionieristici. Tuttavia dovranno superare una barriera supplementare: la formazione dovrà portare a un diploma equivalente a un certificato di capacità federale e dovrà essere riconosciuto anche dal paese in cui si trova la scuola, sottolinea Fiona Wigger.
Niente più soglia minima di allievi svizzeri
L’offerta di una formazione professionale in scuole svizzere all’estero non sarà dunque per domani. Fattibile a breve termine appare invece l’ampliamento di alcuni di questi istituti, grazie alla fine dell’obbligo di avere una quota minima del 20% di allievi di cittadinanza svizzera.
Non sono più solo questi ultimi a determinare il numero di docenti svizzeri finanziati dalla Confederazione, ma soprattutto il totale degli allievi. “Si parte dall’idea che le scuole debbano avere un numero conseguente di insegnanti svizzeri per trasmettere l’educazione e la cultura elvetiche”, indica Fiona Wigger.
Molti allievi di nazionalità svizzera non sono nemmeno nati nella Confederazione: sono di seconda o addirittura di terza generazione, rileva Irène Spicher, codirettrice di educationsuisse. Perciò la trasmissione dei valori elvetici – compito assegnato dal parlamento alle scuole svizzere all’estero – non avviene ad opera di costoro, bensì dei docenti.
Questa innovazione rallegra sia le scuole con molti allievi sia quelle che finora dovevano rifiutare degli alunni di altre nazionalità perché avevano troppo pochi svizzeri. Amaro in bocca invece per le scuole con un’elevata proporzione di allievi elvetici, che accuseranno un calo di contributi della Confederazione.
“Alcune riceveranno tra il 5 e il 15% in meno di quanto ricevevano finora. La riduzione viene però scalata progressivamente su tre anni. In questo modo l’impatto sarà graduale e le scuole avranno il tempo di adattarsi, per esempio ingrandendosi e ristrutturandosi”, puntualizza Fiona Wigger.
Tuttavia il presidente del consiglio della Scuola svizzera di Milano, Robert Engeler, e il direttore di quella di Barcellona, Pascal Affolter, sono unanimi: attualmente per gli istituti in paesi europei, che sono tra i principali perdenti, non si profilano probabilità di espansione. “La crisi economica che c’è in Europa non è propizia a far crescere il numero degli allievi. In questo momento vedo più possibilità di ingrandirsi per le scuole svizzere che si trovano in America latina”, dice Affolter, che prima di quella di Barcellona ha diretto per sette anni la scuola svizzera di Bogotà.
Ambizioni nei paesi emergenti
Quanto alla nascita di nuove scuole svizzere all’estero, sono in corso discussioni. In Cina, per esempio, è stata fondata un’associazione che ha lo scopo di crearne una, indica Derrick Widmer. A suo avviso si dovrebbe agire rapidamente, soprattutto nei paesi emergenti.
L’impresa non è però facile in un settore dove c’è un’agguerrita concorrenza di scuole internazionali private. Tanto più che “oggi tra gli espatriati non c’è più lo stesso sentimento di appartenenza a una colonia svizzera che c’era una volta. Oggi ci si sposta e si comunica facilmente, ognuno ha il proprio cellulare, il collegamento ad internet. Non c’è più il bisogno di legami tra connazionali all’estero”.
E in questo contesto non ci sono più molti espatriati “disposti a mettere mano al portafoglio per creare una scuola svizzera, che non può essere a scopo di lucro”, si rammarica il presidente di educationsuisse.
“La vecchia legge è stata in vigore per 28 anni. Dunque con la nuova legge abbiamo creato le fondamenta per parecchi anni – commenta Fiona Wigger –. Speriamo che vengano realizzati dei progetti, come nuove fondazioni o curricoli professionali. Ma per provare l’utilità della legge ciò non deve necessariamente avvenire nel primo anno”.
Scuole svizzere all’estero
Attualmente vi sono 17 scuole svizzere sparse in Europa, Asia e America latina. Complessivamente sono frequentate da circa 7'500 allievi di cui 1'800 di nazionalità elvetica.Questi istituti veicolano tipici valori svizzeri. “In primo luogo il plurilinguismo, che è il loro atout principale. Poi la disciplina, l’affidabilità e il pensiero critico”, spiega la codirettrice di educationsuisse, Irène Spicher.L’insegnamento è sempre almeno bilingue: in una lingua nazionale svizzera e nella lingua locale o in inglese. Nel livello medio superiore una seconda lingua nazionale svizzera dev’essere materia d’insegnamento. I programmi devono portare a certificati di studio riconosciuti sia dal paese ospitante, sia dalla Svizzera.
Sonia Fenazzi, Apprendistato: le scuole svizzere all'estero ci pensano, "Swissinfo.ch", 29-03-15.