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mercoledì 31 dicembre 2014

OCSE: l'Italia spende poco e male per l'istruzione.

A fine anno è ora di bilanci e ringraziamenti. L’Italia è scesa all’ultimo posto in Europa per percentuale di laureati, è penultima per spesa per l’università in rapporto al PIL ed anche ultima nell’OCSE per spesa pubblica destinata all’istruzione. Sono traguardi che non si raggiungono in un giorno, ma che sono il frutto di politiche mirate e perseveranti. In questi ultimi anni, la via ci è stata indicata, giorno dopo giorno, da una piccola schiera di editorialisti, giornalisti, economisti, opinionisti, politici e manager. Sono i maître à penser de noantri, di cui offriamo una breve antologia. A loro si addice la frase di Churchill:
«Mai così tanto fu dovuto da tanti a così pochi»

lunedì 15 dicembre 2014

Sopravviverà la scuola italiana fino al 2024 ? 2.

A scuola si passa gran parte della giornata e, purtroppo, in molti devono fare i conti non solo con prof, compiti e interrogazioni, ma anche con un clima da incubo. Oggi il governo presenta nuove proposte nate dalle consultazioni online su La Buona Scuola: tra queste ci saranno soluzioni a problemi strutturali che richiedono interventi immediati? Non è una novità infatti che nelle scuole ogni tanto i termosifoni si rompano o siano regolati male, ma secondo una ricerca di Skuola.net sta accadendo fin troppo spesso: su ben 6mila studenti solo il 30% sostiene che a scuola ci sia la giusta temperatura. Ben 1 ragazzo su 2 studia al freddo a scuola. Uno su 6, invece, lamenta il problema opposto: cioè che i termosifoni sono settati male, e quindi sono troppo caldi. Altre storie di termosifoni da incubo arrivano dagli stessi ragazzi che hanno partecipato al sondaggio: ecco cosa succede nelle classi quando il termosifone funziona male.
 
 
CLASSI AL POLO NORD... - Il 56% degli studenti denuncia: a scuola fa freddo. Infatti, per quasi il 29% i termosifoni sono regolati su una temperatura troppo bassa, mentre per un altro 27% non funzionano: o sono rotti (11%) o non vengono accesi perché costerebbe troppo (16%). Così, via libera a giacconi, sciarpe, coperte e stufe. Uno su due per combattere il freddo sta tutto il giorno con il cappotto, il 37% si veste molto pesante. Quasi il 4% si organizza con stufette e altri apparecchi, mentre il 7% porta le coperte.
 
...O AI TROPICI - Il 14% degli studenti ha il problema opposto: temperature troppo alte. La soluzione più comune, in questo caso, è aprire le finestre: lo sostiene ben il 67% dei ragazzi. Chi ci va di mezzo sono gli studenti che si trovano vicino al termosifone, che per combattere l'eccessivo calore sono costretti ad aprire le finestre ammalandosi di continuo. Il 27%, invece, ha ripescato dall'armadio le magliette a maniche corte. 

STORIE DA INCUBO SUI TERMOSIFONI - Ma cosa succede nelle classi, davvero tante, in cui è presente questo problema? Lo abbiamo chiesto agli stessi studenti durante la nostra indagine. Tra malanni, sprechi e sbalzi di temperatura, ecco le loro testimonianze sulla scuola vissuta ogni giorno.  
Barricati in classe con il giaccone - Alcuni giorni spesso indossiamo tutti il giaccone in classe, oppure teniamo sempre la porta e finestre chiuse per far scaldare l'ambiente anche se l'aria diventa molto pesante. Ma questo non ci importa, almeno si sta un pochino al caldo. 
Nessun patteggiamento - Nella nostra scuola il freddo è un problema comune a tutte le classi e, dopo averlo fatto presente alla preside, ci è stato risposto che il termosifone è regolato con la temperatura esterna quindi non si può alzare. (Padova) 
Tubi incrostati, classi al freddo - Ci dicono sempre che i tubi del riscaldamento non vengono puliti da anni e che c'è troppa polvere all'interno! E' una situazione che va avanti così da generazioni...le uniche aule riscaldate sono la presidenza la vicepresidenza e gli uffici vari, da anni ormai andiamo avanti con scaldini plaid e cappotti.
Termosifoni solo fino alla 4° ora - I termosifoni non sono sufficientemente caldi e vengono spenti in quarta ora, e per le volte che bisogna stare a scuola fino alle 14.30 fa freddino.
Spenti - Siamo a dicembre e non hanno ancora acceso i termosifoni.
Troppa spesa, portatevi le coperte - Nella mia scuola non vogliono accendere i riscaldamenti perché dicono consuma troppa luce e noi siamo costretti a stare con i cappotti e a portarci le coperte.
Un'ora sola ti vorrei - In classe i termosifoni vengono accesi solo dalle 7:30 fino alle 8:30 (all'incirca) fatto sta che dalla seconda ora in poi si muore di freddo soprattutto ai piani superiori che dovrebbero essere più riscaldati ed invece siamo costretti a mettere giacche o altro.
16 gradi in classe e niente da fare - Nella mia scuola abbiamo seri problemi di riscaldamento solo in un lato della scuola, il blocco B, ma anche se è stata fatto richiesta di modificare questa situazione, la preside in modo molto scortese ha risposto che lei non può fare niente e che bisogna chiedere direttamente alla Provincia. Successivamente la prof di riferimento della mia classe gentilmente si è informata e ci ha riferito che hanno sbagliato a fare l'impianto di quel blocco e non si può rifare, di conseguenza ci dovremmo tenere la situazione attuale: giaccone durante le lezioni per combattere i 16 gradi che si registrano in classe. (Rovigo)  
Stufe in giro per la scuola - Dipende dall'aula in cui stiamo, quando siamo in quella con i riscaldamenti rotti abbiamo una stufetta portatile che mettiamo in giro per riscaldarci e se il freddo aumenta parecchio usiamo anche delle coperte. 
Bronchite per tutti - Per alcuni di noi la situazione è davvero difficile sia d'estate sia d'inverno, il sole entra nella classe in modo aggressivo e chi si trova agli ultimi banchi davvero dopo un po' si sente male, diciamocelo chiaro, il sole in testa per 5 ore non è molto bello... quindi di estate fa caldo per il sole, di inverno il sole resta, ovviamente perché nonostante le nostre richieste non esistono tapparelle, il sole persiste, i termosifoni posti dietro le nostre spalle e bollenti peggiorano la situazione, per rinfrescarci un po' non ci resta altro che aprire le finestre, e io sono già alla seconda bronchite dell'anno, nessuno ci ascolta, niente tapparelle, niente abbassamento della temperatura dei termosifoni e chi ci rimette siamo sempre noi dei mitici ultimi banchi. (Avellino) 
Due ore di riscaldamento - Nella nostra scuola i termosifoni vengono lasciati accesi per circa due ore poi arriva il freddo, considerando che stiamo li dentro per circa 6 ore, non è il massimo.  
Termosifoni illogici - Il riscaldamento è debole e spesso spento. La scuola è enorme, i caloriferi posizionati senza nesso logico, tipo 4 in due metri quadri e poi nessuno per 40 metri.
Riscaldamento in tilt - Ogni anno, in questo periodo, il sistema di riscaldamento va in tilt e intere classi si ritrovano al freddo. Per riscaldarci portiamo borse dell'acqua calda elettriche, coperte o indossiamo semplicemente i nostri giubbotti. Nonostante le richieste delle rappresentanti, la situazione non cambia e la scuola rimane aperta. 
30 minuti al caldo - I termi sono accesi per i primi 30 minuti della prima ora di lezione, poi si muore di freddo! 
Termosifoni a metà - I caloriferi vanno...si...per metà, letteralmente per metà, da una parte è caldo e dall' altra parte è freddo...nonostante ciò abbiamo i pinguini in classe che gironzolano con le loro palline di neve! Passiamo dalle 5\6 ore in classe e la maggior parte con i cappotti pesanti...non si può.... 
I soldi non bastano - Purtroppo non riescono a star dietro ai costi del riscaldamento, alle 11 li spengono e ci son persone che hanno il rientro fino alle 16. (Genova)
Tra caldo e freddo...il malanno! - Ragazzi che stando seduti vicino al termosifone si sentono male per il caldo, costretti ad aprire le finestre con caldo e freddo molti gli ammalati
Spreco di energia - I riscaldamenti sono abbastanza inutili poiché molte finestre sono ancora rotte quindi rimangono aperte. Inoltre le infiltrazioni del tetto nell'ultimo piano non aiutano.
Dalla padella alla brace - Fino alla metà del mese di Novembre il riscaldamento era completamente spento ("la provincia non ci da i soldi"), poi è stato attivato e attualmente nelle classi vi è un caldo insopportabile, se i custodi non se ne accorgono abbiamo l'abitudine di chiudere i condotti dei termosifoni, perché la situazione è davvero insopportabile. (Siena)
 

domenica 14 dicembre 2014

Tempi duri a Londra per chi sputa a terra.

I municipi di Londra si riuniranno giovedì per fissare l'entità della multa da imporre a chi viola il divieto di sputare per terra, regola di convivenza civile troppo spesso disattesa. Secondo l'Evening Standard, si trovera' un accordo sull'imposizione di una multa pari a 80 sterline (100 euro) per chi sputa in pubblico. Lo sputare è stato definito "comportamento antisociale che ha un impatto sulla qualità della vita".
La decisione arriva dopo che le autorità locali della capitale hanno fatto ampie consultazioni. Lo sputare è stato definito ''comportamento antisociale che ha un impatto sulla qualita' della vita''. Il divieto potrebbe essere applicato anche a chi gioca a calcio nei parchi pubblici. L'unico modo di evitare la multa sarà quello di avere una ''scusa ragionevole'' come ad esempio una malattia.

Già è in vigore una norma rigidissima ad Enfield, a nord di Londra, che prevede per chi sputa il rischio di finire in tribunale e ricevere una contravvenzione fino a 500 sterline.

Londra multa chi sputa a terra: pratica antisociale, TGcom 24, 10-12-14.

sabato 6 dicembre 2014

Gufi anche loro ? S&P boccia la politica economica del governo.

Schiaffo di Standard & Poor’s all’Italia. Ed è uno schiaffo che fa male, perché il downgrade deciso dall’agenzia finanziaria statunitense porta il rating del nostro Paese quasi al livello «spazzatura»: BBB- da BBB. Solo un gradino più in alto del livello “junk”. L’outlook sulle prospettive economiche è invece «stabile». 

Un colpo duro da incassare in un momento di massimo sforzo del governo Renzi sul fronte delle riforme. «Non è una bocciatura del Jobs Act», si appresta a commentare Palazzo Chigi: «Ci dicono che le riforme vanno bene, ma che bisogna andare più veloci», che ci sono «elementi buoni nelle riforme ma non tali da compensare il debito e risvegliare a breve l’economia». Ma al di là delle reazioni ufficiali, chi ha avuto modo di sentire Matteo Renzi dopo che la scure di S&P si è abbattuta sul nostro Paese parla di un premier amareggiato, che non avrebbe nascosto la sua delusione per il trattamento inflitto a un’Italia che sta tentando in tutti i modi di imboccare con decisione la strada del cambiamento. 

«Lo spread è sceso sotto i 120 - aveva detto il premier in giornata - ma essendo buona notizia, non va oltre i trafiletti. Solo per ricordare: eravamo a 200 nove mesi fa. Duecento». 

Standard & Poor’s spiega come a pesare sulla sua decisione sia stato un mix di preoccupazioni tra una crescita molto basa e un debito pubblico ancora enorme. «Secondo i nostri criteri - scrivono gli analisti dell’agenzia - un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e da una bassa competitività non è compatibile con un rating BBB». Certo, lo sforzo sul fronte delle riforme viene riconosciuto: «Prendiamo atto che il premier Renzi ha fatto passi avanti col Jobs Act», si spiega nel rapporto di S&P, in cui però si esprime un certo scetticismo: «Non crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine’’. E i «decreti attuativi» della riforma - si aggiunge - potrebbero «essere ammorbiditi», e ciò «potrebbe accadere alla luce di una opposizione crescente». 

Dal Tesoro non arrivano commenti ufficiali. Ma in realtà il ministro Pier Carlo Padoan aveva già detto la sua in giornata: «Il nostro debito è sostenibile», e per capirne la sostenibilità «occorre guardare al surplus primario, che solo la Germania con l’Italia ha mantenuto positivo». E se il nostro debito dovesse salire - spiega Padoan - non è colpa dell’Italia. Se ci fosse un’inflazione in equilibrio all’1,8%, una crescita reale dell’1% e una crescita nominale di circa il 3%, il debito pubblico sarebbe in un sentiero di discesa rapidissimo». 

S&P gela l’Italia: “Rating quasi spazzatura. Jobs Act passo avanti ma rischi sull’attuazione”, "La Stampa", 5-12-14.

Ferma presa di posizione di una Preside.

Al Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale 
per la Campania Dott.ssa Luisa Franzese
Al Ministro dell’Istruzione On. Prof.ssa Stefania Giannini
E p. c. A tutte le scuole secondarie di secondo grado della Provincia di Napoli

Sono stata invitata a partecipare a un incontro con il Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, on. Davide Faraone, che sarà a Napoli mercoledì prossimo, 10 dicembre, presso l’ISIS “Sannino-Petriccione”.
Desidero esplicitare i motivi per i quali, pur ringraziando per l’invito, non parteciperò all’incontro. Da quindici giorni, nella scuola che dirigo, i professori ed io stessa siamo impegnati in un dialogo incessante, quotidiano – a tratti molto difficile – con gli studenti, sulle modalità e sui limiti con le quali ed entro i quali una protesta può accrescere la consapevolezza e rafforzare il senso civico di ciascuno, risultando proficua per la comunità nella quale viviamo – in primo luogo, quella scolastica.
Ci siamo a lungo confrontati, abbiamo discusso – anche vivacemente - sulla necessità di rispettare le regole che danno forma a qualunque attività, sia individuale, sia, a maggior ragione, collettiva.
Abbiamo stigmatizzato le derive qualunquiste e pre-natalizie, i riti di iniziazione privi di contenuti e di motivazioni ideali; soprattutto, abbiamo chiarito che le occupazioni sono illegali, perché violano almeno due articoli del codice penale, senza se e senza ma.
Abbiamo commentato, costernati e impotenti, i danni - per centinaia di migliaia di euro – provocati, non per la prima volta, dalle occupazioni in alcune scuole della città di Napoli.
Abbiamo analizzato gli altri danni – primo tra tutti, la negazione del diritto allo studio e l’interruzione di un servizio pubblico – provocati dalle occupazioni, delle quali pagano sempre il prezzo più alto gli studenti diversamente abili e quelli didatticamente più deboli, meno motivati.
La scuola che dirigo non è stata occupata; l’attività didattica è continuata, anche se è stata declinata, per una settimana, secondo modalità alternative, per rispondere al bisogno degli studenti di interrogarsi su categorie storiche, su fenomeni politici, su fatti dell’attualità e della cronaca.
Non ho, pertanto, né il tempo, né alcun motivo di incontrare l’on. Faraone, che in un sorprendente articolo pubblicato sulla “Stampa” del primo dicembre definisce le occupazioni scolastiche “una lotta all’apatia”, le considera “più formative delle ore passate in classe”, le considera momenti privilegiati durante i quali “si seleziona la classe dirigente”, nonché l’unica occasione in cui le aule scolastiche “appaiono calde e umane”, pronube di meravigliosi amori “consumati in quei sacchi a pelo”, all’interno dei quali tanti “ragazzi e ragazze hanno trovato l’anima gemella”.
Sono tra i firmatari della petizione, promossa dal “gruppo di Firenze”, per le dimissioni dell’on. Faraone, che non rappresenta le istituzioni in cui credo. Credo, invece, con Massimo Recalcati, che un’ora di lezione possa cambiare la vita, e che la scuola alla vita possa e debba dare forma.
Con i migliori e più cordiali saluti,
prof.ssa Silvia Parigi
Dirigente Scolastico del Liceo “Comenio” di Napoli

Questa lettera compare sul sito del liceo "Comenio" di Napoli ed è stata ripresa da diverse testate  (tra cui "La Stampa").
V. anche:
Gruppo di Firenze, 6-12-14, Una preside si rifiuta di incontrare il sottosegretario Faraone, 6-12-14.

Roma Capitale. Di cosa ? 11.

Alla prestigiosa Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma non succedeva dal 1998, quando a prendere il volo furono addirittura due Van Gogh e un Cezanne, tutte opere poi ritrovate nel luglio dello stesso anno. Sedici anni dopo quel furto così clamoroso il museo romano torna alla ribalta delle cronache con la sottrazione, questa volta di un’opera in bronzo, il delizioso “Bambino Malato” di Medardo Rosso, un piccolo capolavoro, stimato intorno ai 500 mila euro, che fa parte della collezione del museo e che era in mostra in queste settimane inserito nel percorso della rassegna dedicata a Secessione e Avanguardia. 

L’allarme nel pomeriggio, dopo che gli addetti alla vigilanza si sono accorti della sparizione della piccola testa in bronzo. Erano le 16 e 30. La scultura rubata si trovava nella sala 48. Il sistema d’allarme era regolarmente in funzione, verrà spiegato poi agli inquirenti, così come le telecamere, puntate sulle opere in mostra. Chiamati dai custodi sono arrivati i carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale, che hanno assunto il comando dell’indagine. E che a tarda sera si trovavano ancora nel museo, insieme con la direttrice Maria Vittoria Marini Clarelli per visionare i filmati delle telecamere e fare tutti gli accertamenti necessari cercando di ricostruire le modalità del furto. 

Importante esponente dell’impressionismo, Medardo Rosso ( 1858-1928) eccelleva proprio nei ritratti di bambini. Il Bambino Malato, ritenuto tra le sue opere più riuscite, lo scolpi’ tra il 1893 ed il 1895 dopo la degenza in un ospedale parigino, la città dove visse per un lungo periodo e dove espose al Salon des artistes Francais e al Salon des Independents. La Gnam possiede una importante e preziosa collezione delle sue sculture. 

Il precedente clamoroso del furto alla Galleria d’Arte Moderna risale al 20 maggio del 1998 quando vennero rubate due tele di Van Gogh, «Il giardiniere» e «L’Arlesiana» e un Ce’zanne, il «Cabanon de Jourdan». Tutte le opere verranno ritrovate il 6 luglio dello stesso anno. L’anno successivo, il 26 gennaio del 1999, un altro brutto episodio: un uomo, Piero Cannata, viene fermato dai carabinieri per aver imbrattato con un pennarello una tela di Jackson Pollock «Sentieri ondulati» del 1947. «L’ho fatto perché era l’unico modo per poter parlare con un magistrato», dirà dopo. Alle forze dell’ordine Cannata era già conosciuto: nell’autunno del 1991 aveva rotto con una martellata il secondo dito del piede sinistro del David di Michelangelo a Firenze. Nel caso del Pollock per fortuna il danno non fu grave, la tempestività dell’intervento degli addetti alla sicurezza fece sì che il quadro non venisse scalfito. 

mercoledì 3 dicembre 2014

Italia fuori dall' eurozona ? Sempre più probabile.

"Uno dei motivi per cui oggi esiste l'euro è l'ampio consenso politico - denuncia il settimanale tedesco Der Spiegel - in tutti quei Paesi che più tardi l'avrebbero adottato. E anche l'approvazione dei partiti all'opposizione è stata importante perché, nel corso dei 15 anni, quasi tutti sono saliti al governo: l'Spd in Germania, i Socialisti in Francia e in Spagna."


Vedi anche:

"La situazione è diversa invece in Italia - scrive lo Spiegel - dove tutti i partiti all'opposizione sono contrari all'euro. I Socialdemocratici intorno al segretario Matteo Renzi hanno una larga maggioranza in Parlamento e vantano di un grande - seppur non più schiacciante - consenso nella popolazione. Ma nelle democrazie prima o poi le opposizioni vanno al governo ed ora e' quindi importante sapere - precisa il tedesco "Spiegel" - se un simile governo attuerebbe una politica anti-euro".

LA SITUAZIONE POLITICA - Il settimanale tedesco ha così analizzato l'attuale situazione politica italiana in relazione alla permanenza nell'Eurozona: "Prima delle elezioni europee il Movimento 5 Stelle, il più grande partito all'opposizione, si era detto favorevole ad un referendum sull'euro. Fino a quel momento il Movimento era si' euroscettico, ma la sua posizione non era drastica come lo è oggi. Di recente il suo leader, Beppe Grillo, si è schierato, dichiarando che i 5 Stelle vogliono lasciare l'eurozona il prima possibile.


Alle elezioni regionali in Emilia Romagna il Partito democratico di Renzi ha vinto, ma la Lega Nord ha ottenuto un successo grande e imprevisto. La Lega Nord ha abbandonato le velleità di secessione del Nord Italia, per avviare invece una crociata contro l'euro: una posizione che è stata premiata dagli elettori.


E Silvio Berlusconi ha accolto questa situazione con grande favore: ovviamente l'ex cavaliere non è mai stato un europeista convinto - aggiunge lo Spiegel - e, da opportunista qual è, anche lui adesso mette in dubbio il futuro dell'euro. Ma non solo: il suo partito, Forza Italia, chiede di riconquistare la sovranità monetaria, introducendo allo stesso tempo una moneta parallela che venga scambiata liberamente con l'euro.

PROSPETTIVE SENZA EURO - Stipendi, salari e naturalmente anche i prezzi dei prodotti verrebbero pagati con questa nuova moneta. Inizialmente il vecchio euro affiancherebbe la nuova moneta italiana con un cambio uno a uno: successivamente la nuova moneta verrebbe emessa liberamente - operazione che farebbe subito crollare la sua quotazione del 50 per cento. In un colpo solo, quindi, l'Italia diventerebbe nuovamente competitiva. Ma per il resto dell'eurozona questo sarebbe il peggiore di tutti i possibili scenari di crisi.

E' vero però che dall'entrata nell'euro l'Italia non è più cresciuta: la disoccupazione è alta, quella giovanile spaventosa, conclude Der Spiegel - e quindi l'uscita dall'euro è ampiamente giustificata.

Una firma contro l'elogio delle occupazioni studentesche.

È infatti inammissibile, anche per chi non sia affatto animato da ostilità politica pregiudiziale, che resti al suo posto di governo chi legittima le occupazioni e anzi ne esalta senza riserve il ruolo formativo, dimostrando di non rendersi conto di quello che è in gioco: educazione alla legalità, rispetto dei beni comuni, immagine della scuola pubblica, diritto allo studio. 
Il suo intervento disconosce e rischia di vanificare il difficile lavoro dei docenti e in modo particolare dei dirigenti in quanto responsabili degli istituti scolastici, che hanno affrontato queste situazioni senza rinunciare al loro ruolo, quasi sempre lasciati soli da tutte le istituzioni: ministri, magistrati, forze dell’ordine.
L’on. Faraone, per di più, accompagna l’elogio delle occupazioni con frasi che svalutano l’attività didattica, definendo le occupazioni “esperienze di grande partecipazione democratica, in alcuni casi più formative di ore passate in classe”. Per molti ragazzi, aggiunge, è stata “l’esperienza più bella della propria adolescenza in quelle classi che per una volta apparivano calde e umane”.E via di questo passo, con l’immancabile offerta di “ascolto, ascolto, ascolto”. Ma ascoltare non significa compiacere.
Pazienza  se fossero, questi, solo i ricordi nostalgici di un cittadino qualsiasi. Sono invece le parole di un rappresentante delle istituzioni, che dovrebbe ricordare ai ragazzi quali sono i loro diritti, ma anche i loro doveri. Nessun cenno, nell’articolo, al fatto che la scuola è un servizio pubblico pagato dai contribuenti, e che ogni giorno di interruzione delle lezioni è un grave spreco di risorse, per non parlare dei frequenti danni agli ambienti e alle attrezzature. Tanto meno si ricorda che la scuola pubblica non appartiene né ai dirigenti, né agli insegnanti, né agli studenti, ma alla collettività; e che quindi nessuno, per nessun motivo, ha diritto di appropriarsene e di impedirne l’uso ad altri. Non ci sono dunque occupazioni buone e occupazioni cattive, ma tutte sono per molte ragioni inammissibili, oltre che screditate. Se è vero che la formazione politica è cosa seria e importante, gli studenti possono utilizzare gli spazi che hanno già a disposizione, come le assemblee mensili, e programmare insieme ai docenti, come già avviene in più di un istituto, giornate di dibattito e di approfondimento su temi di loro interesse.
In un paese devastato dall’assenza di legalità a tutti i livelli, insomma, chi ha incarichi di governo dovrebbe essere esempio di rigore e di coerenza nel rispetto delle leggi e delle istituzioni. Per questo riteniamo che il sottosegretario Faraone non possa continuare a ricoprire questo ruolo.

Chiediamo le dimissioni del sottosegretario Davide Faraone, che ha elogiato le occupazioni studentesche, per grave inadeguatezza al suo ruolo istituzionale, 2-12-14.

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V. anche:

lunedì 1 dicembre 2014

Come apprendere meglio le lingue straniere.

Anki, un programma che aiuta ad imparare  (tra l'altro)  le lingue straniere.


Sopravviverà la scuola italiana fino al 2024 ? 1.

Come ha scritto Giorgio Israel: "Non ci sono parole. Queste sono le mani in cui è la scuola italiana. Tanto per confermare il detto che al peggio non c’è mai un limite.".

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Non basta il suono di una campanella per fermare l’energia che si crea, cresce e muove in una scuola per poi contagiare il mondo fuori. Ho partecipato anche io ad occupazioni ed autogestioni scolastiche. Esperienze di grande partecipazione democratica che ricordo con piacere. 

In alcuni casi più formative di ore passate in classe. Io le “istituzionalizzerei” pure, se non fossi convinto di svilirne il significato. Il governo crede così tanto nell’autonomia scolastica che pensiamo che i singoli istituti potrebbero prevedere, se lo ritenessero utile, momenti simili, di autogestione programmata, come esperienza curricolare da far fare ai ragazzi. 

Scuola è didattica, scuola è studio, ma non può essere solo ragazzi seduti e cattedra di fronte. Io ho maturato la mia voglia di fare politica, proprio durante un’occupazione. 
E chissà quanti hanno cominciato a fare politica, o vita associativa, o hanno scoperto la passione civile, proprio partendo da questa esperienza. O ancora, quanti sono diventati leader in un’azienda, dopo essere stati leader durante un’occupazione studentesca. Anche in quei contesti si seleziona la classe dirigente. Quanto valgono poi, le notti passate a dormire in istituto. Io le ricordo ancora oggi nitidamente. Ricordo ragazzi del mio quartiere, che non potevano permettersi nemmeno un campeggio, aver passato l’esperienza più bella della propria adolescenza, dentro i sacchi a pelo in quelle classi che per una volta apparivano calde e umane. O quanti amori si sono consumati in quei sacchi a pelo e quante ragazze o ragazzi hanno trovato la propria anima gemella. 

Una scuola, la sua struttura, i suoi laboratori, le sue palestre, le sue persone migliori non possono chiudere un secondo dopo il suono della campanella. Pensate che spreco in quartieri come lo Zen a Palermo o Scampia a Napoli, Quarto Oggiaro a Milano o Corviale a Roma. Il degrado e l’abbandono oltre l’inferriata, mentre potrebbe esserci l’armonia in quegli istituti. 

Durante la consultazione per “La Buona Scuola” le assemblee con gli studenti sono state magari le più difficili, ma spesso le più interessanti, quelle da cui ci sono arrivate le proposte e le critiche più innovative. Ovviamente là dove ci hanno portato le loro idee e non ripetuto a pappagallo quelle degli adulti. 

Quando non sono la moda del “liceo dei fighetti”, non sono fatte per scimmiottare i loro padri e i loro nonni, quando non sono la ripetizione stanca di un rito d’altri tempi; quando non sono caricature, le occupazioni e le autogestioni sono fenomeni spontanei e vanno prese sul serio. E noi prenderemo sul serio chi ha qualcosa da dire, rifiutando ogni forma di violenza e devastazione. La scuola è un bene comune: chi lo deturpa o - peggio - lo vandalizza si esclude dal confronto e merita solo la punizione più severa prevista dalle nostre leggi.  

Nessuna istigazione ad occupare le scuole, ovviamente. Vorrei evitarmi la solita ramanzina di Giorgia Meloni, che dopo aver detto a Del Piero in che squadra deve giocare, dopo che ha spiegato ai genitori e ai bambini come essere felici, spieghi a me che devo essere responsabile e non spingere i ragazzi all’anarchia e alla rivoluzione. Ma i ragazzi sappiano che se ci chiameranno nelle loro scuole per discutere o per contestare la riforma, il governo sarà lì. Parteciperà alle assemblee studentesche per promuovere le sue idee, per ascoltare nuove e migliori proposte. 

La politica non può avere paura di nessun luogo di confronto civile e democratico. Maggiormente se ispirato dai ragazzi. Molti di loro non saranno mai in nessun circolo di partito. Alcuni si rifiutano di leggere i giornali e non guardano i talk show in tv perché sdegnati dalla politica. Magari qualunquismo e disincanto hanno prevalso nelle loro menti. Se quei momenti contribuiranno a superare la rassegnazione e l’apatia, se stimoleranno la partecipazione, il governo ha il dovere di esserci. 

Ascolto, ascolto, ascolto. È questo il metodo che ci siamo dati per tutte le riforme messe in campo. Naturalmente, la democrazia funziona se ad un certo punto si smette di discutere e si decide. Anche questa è una prerogativa alla quale il governo Renzi non è mai venuto meno: se non si decide si è irrilevanti e inutili e non ce lo possiamo permettere. A maggior ragione se è in gioco la cosa più preziosa che abbiamo: la nostra scuola, il nostro futuro.  

Davide Faraone, Le occupazioni scolastiche, una lotta all’apatia, "La Stampa", 1-12-14. 

domenica 30 novembre 2014

Un esempio di integrazione.

«Vengo da una cultura basata sulla tradizione orale e posso testimoniare sulla mia pelle che quando un anziano muore è davvero una biblioteca che brucia: ciò che voglio fare è salvare questa biblioteca». Ha le radici ben salde nel sue origini senegalesi e uno spiccato accento sardo che racchiude l’essenza dei suoi ultimi 20 anni Cheick Tidiane Diagne, immigrato in Italia nel ’92 con una laurea in Economia e commercio e una gran voglia di fare. Prima Roma, poi Brescia e infine la Sardegna, alla ricerca di una cittadina non troppo grande per potersi sentire una persona e non un semplice numero. Ed è proprio fuori dalla stazione di Nuoro, appena arrivato, che la sua vita prende una svolta inattesa e poetica. «Ehi Babbo, sai indicarmi la strada? Con tutto il rispetto che provo per chi è più anziano di me ho chiesto un’informazione alla prima persona che ho visto: lui mi ha preso per mano e mi ha accompagnato. Lì è nata la nostra amicizia».  

L’uomo incontrato per caso era Tziu Antoni Cuccu, editore indipendente che con la sua Bianchina girava per i paesi più sperduti dell’isola alla ricerca di gare poetiche sarde. Per poi trascrivere, tradurre e stampare i versi ascoltati. «Grazie alla generosità di un maestro di Nuoro in pensione in sei mesi ho imparato l’italiano, e appena potevo andavo da Tziu Antoni, che mi declamava i versi più belli, mi parlava dei suoi libri, mi immergeva nella cultura sarda». Nel 1996 Tidiane realizza il suo sogno, e anche lui con la sua automobile inizia a vendere libri per i mercatini. E nel 2003, quando Tziu Antoni muore, sceglie di prendere in eredità la sua missione: acquista dalla famiglia tutti i volumi rimasti, continua nella raccolta di poesie locali e con il suo banchetto e il suo sorriso diventa un baluardo della lingua sarda. La storia del «Afro-barbaricino», come ama definirsi, è ora diventata un cortometraggio grazie ad un progetto chiamato «FOQS», che ha lanciato anche un crowdfunding per permettere al librario itinerante di ristampare i libri di Tziu Antoni. «Quello che lui ha trasmesso a me, io voglio trasmetterlo agli altri: non c’è integrazione più bella di questa».  

Federico Taddia, B come Babbo, "La Stampa", 30-11-14.

La disoccupazione in Italia: la realtà dietro le bugie dei media.

È incredibile, la capacità dei governanti di manipolare i fatti pur di non dirci come vanno le cose. Negli ultimi giorni l’Istat ha fornito i dati sulle forze di lavoro nel terzo trimestre, e ha anticipato i dati provvisori di ottobre. Dati drammatici, ad avere il coraggio di guardarli in faccia. E invece no, immediatamente dopo la diffusione delle cifre Istat si è scatenata la corsa a travisarli. E’ così che abbiamo appreso che i dati trimestrali dell’Istat ci presentano «una sostanziale e progressiva crescita degli occupati nell’ultimo anno», quantificata in 122 mila occupati in più. E che anche l’incremento della disoccupazione, pari a 166 mila disoccupati in più, non ci deve preoccupare perché «va messo in relazione alla crescita del numero di persone che cercano lavoro». Come dire: se aumenta il tasso di disoccupazione è perché la gente è meno scoraggiata e «più persone tornano a cercare lavoro». 

Sui trucchi usati per manipolare i fatti non vale neppure la pena soffermarsi, tanto sono ingenui e vecchi (alcuni li insegniamo all’università, sotto il titolo «come si fa una cattiva ricerca»). Sui fatti, invece, è il caso di riflettere un po’. 

Occupati in termini reali  
Primo fatto: l’occupazione in termini reali sta diminuendo. Che cos’è l’occupazione in termini reali? E’ la quantità di occupati al netto della cassa integrazione. Se, per evitare le distorsioni della stagionalità, confrontiamo l’ultimo dato disponibile (ottobre 2014) con quello di 12 mesi prima (ottobre 2013), la situazione è questa: gli occupati nominali (comprensivi dei cassintegrati) sono rimasti praticamente invariati (l’Istat fornisce una diminuzione di 1000 unità), le ore di cassa integrazione sono aumentate in una misura che corrisponde a circa 140 mila posti di lavoro bruciati. Dunque negli ultimi 12 mesi l’occupazione reale è diminuita.  

Apparentemente la diminuzione è di circa 140 mila unità, ma si tratta di una valutazione ancora eccessivamente ottimistica: gli ultimi dati Istat, relativi al terzo trimestre 2014, mostrano che, sul totale degli occupati, si stanno riducendo sia la quota di lavoratori a tempo pieno sia la quota di lavoratori italiani. Il che, tradotto in termini concreti, significa che aumentano sia il peso dei posti di lavoro part-time «involontari» (donne che lavorano poche ore, ma non per scelta) sia il peso dei posti di lavoro di bassa qualità, tipicamente destinati agli immigrati. 

I senza lavoro  
Secondo fatto: la disoccupazione sta aumentando. I disoccupati erano 3 milioni e 124 mila nell’ottobre del 2013, sono saliti a 3 milioni e 410 mila nell’ottobre del 2014. L’aumento è di ben 286 mila unità, di cui 130 mila nei 4 mesi del governo Letta, e 156 mila negli 8 mesi del governo Renzi. La spiegazione secondo cui l’aumento sarebbe dovuto a una maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori scoraggiati, riprende una vecchia teoria degli Anni 60 ma è incompatibile con i meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di disoccupazione dipendono dal peggioramento, e non dal miglioramento, delle condizioni del mercato del lavoro. 


Sulla disoccupazione, tuttavia, ci sarebbe qualcosa da aggiungere. In questi giorni sentiamo ripetere, dai giornali e dalle tv, che il tasso di disoccupazione non solo è ulteriormente aumentato rispetto a 12 mesi fa (1 punto in più), non solo è molto alto in assoluto (13,2%), non solo è fra i più alti dell’Eurozona, ma sarebbe anche il più alto degli ultimi 37 anni, ossia dal 1977. 




I dati del 1977  
Ebbene, anche questa, già di per sé una notizia drammatica, detta così è ancora troppo ottimistica. Se dici che siamo al massimo storico dal 1977, o che «siamo tornati al 1977», qualcuno potrebbe supporre che nel 1977 il tasso di disoccupazione italiano fosse più alto di oggi, o perlomeno fosse altrettanto alto.  

Non è così. Nel 1977 il tasso di disoccupazione era molto minore rispetto ad oggi (7,2% contro 13,2%). La ragione per cui si continua a parlare del 1977 come una sorta di spartiacque è che la serie storica dell’Istat con cui attualmente lavoriamo parte dal 1977. Ma questo non significa che sugli anni prima del 1977 non si sappia niente. Prima del 1977 c’era la vecchia serie 1959-1976. E prima ancora c’erano i dati del collocamento, della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, dei censimenti demografici, a partire da quello del 1861, anno dell’unità d’Italia. Tutte fonti meno sofisticate di quelle di oggi, ma sufficienti a darci un’idea degli ordini di grandezza. Mi sono preso la briga di controllare queste fonti, nonché i notevoli lavori che sono stati pubblicati sui livelli di disoccupazione dal 1861 a oggi e la conclusione è tragica.  

Unità d’Italia e dopoguerra  
Mai, nella storia d’Italia, il tasso di disoccupazione è stato ai livelli di oggi. Altroché 1977. La disoccupazione era più bassa di oggi anche nel periodo 1959-1976, per cui abbiamo una serie storica Istat. Era più bassa anche negli anni della ricostruzione, dal 1946 al 1958. Ed era più bassa durante il fascismo, persino negli anni dopo la crisi del 1929. Quanto al periodo che va dall’unità d’Italia all’epoca giolittiana, è difficile fare paragoni con l’oggi, se non altro perché è proprio allora che prende lentamente forma il concetto moderno di disoccupazione, ma basta un’occhiata ai censimenti e agli studi che li hanno analizzati (splendidi quelli di Manfredi Alberti, borsista Istat) per rendersi conto che, comunque si definisca il fenomeno, siamo sempre abbondantemente al di sotto dei livelli attuali. 


Il governo Renzi  
Di tutto questo Renzi e i suoi non hanno nessunissima colpa. Il legno storto del mercato del lavoro non si raddrizza in pochi mesi, e forse neppure in parecchi anni. Quel che dispiace, però, è che anche le nostre giovani marmotte, giunte al potere, si arrampichino sugli specchi come tutti gli anziani paperi che le hanno precedute. Come cittadino, preferirei un governo che, sull’occupazione e la disoccupazione, ci dicesse la verità, e mostrasse con i fatti, non con le parole, di aver capito il dramma del lavoro in Italia. Quel che vedo, invece, è un ceto politico che irride i sindacati, si è mostrato del tutto inadeguato sul progetto europeo «Garanzia giovani», stanzia pochissimi soldi per ridurre il costo del lavoro (1,9 miliardi nel 2015), mentre ne stanzia tantissimi sul bonus da 80 euro, misura meravigliosa ma che premia solo chi un lavoro già ce l’ha

Il guaio, purtroppo, è sempre quello. In Italia la sinistra, oggi come ieri, protegge innanzitutto i lavoratori già garantiti. La destra ha da sempre un occhio di riguardo per i lavoratori autonomi. Quanto a tutti gli altri, precari, lavoratori in nero, giovani e donne fuori dal mercato del lavoro, nessuno se ne preoccupa sul serio, e meno che mai i sindacati. Fino a quando? 

Luca Ricolfi, Disoccupazione mai così alta nella storia d'Italia, "La Stampa", 30-11-14.

lunedì 24 novembre 2014

Studiare nella città sotto assedio. La lezione dei ragazzi di Sarajevo ai giovani d'oggi.

L’istruzione nella Sarajevo sotto assedio non si arrestò. Nonostante le difficoltà negli spostamenti per raggiungere scuole e università, la riluttanza dei genitori a mandare i propri figli a scuola -per non esporli al rischio dei cecchini-, la non facile gestione a livello ministeriale dell’istruzione in uno scenario di completa emergenza e il fatto che molte scuole, sia elementari che medie, si trovassero sulla linea del fronte, la popolazione si auto-organizzò in piccoli nuclei di quartiere, per non negare ai ragazzi il diritto all’istruzione e creando classi in appartamenti o cantine sotterranee. Tale fenomeno ebbe molteplici sfaccettature e motivi: i ragazzi dovevano distrarsi dallo scenario e allo stesso tempo non perdere l’opportunità di istruirsi e formarsi; gli insegnanti di contro inseguendo questa missione continuavano a lavorare, seppure con modalità del tutto nuove, distraendosi anch’essi dall’assedio e sentendosi attivi nel processo di continuazione dell’esistenza, della formazione di individui, e in ultima analisi di resistenza alla volontà di annientamento degli assedianti.
Per ragioni di sicurezza la durata dell’anno scolastico fu generalmente accorciata a mediamente cinque mesi, riducendo complessivamente i programmi di circa il 30%. I nuovi programmi, già concordati col ministero, puntavano in misura maggiore rispetto al passato, su lingua e letteratura locale, sulla matematica, sulla fisica e la chimica. S’incoraggiavano i genitori a mandare i  propri bambini a scuola e a organizzare gruppi di lavoro per l’esercizio e i compiti a casa, con l’ausilio di materiali da stampare e consigliando il buon senso per le postazioni militari in città.
In un articolo di Oslobođenje del 1993, dal titolo “Improvvisazione riuscita” la creazione dei nuclei scolastici negli appartamenti venne giudicata come un vero successo: grazie ai nuclei scolastici oltre 6000 studenti delle trenta scuole medie presenti in città furono ripartiti nelle settantacinque postazioni collettive di studio.
Oslobođenje più volte analizzò il fenomeno dell’istruzione in Bosnia nel periodo della guerra, con reportage che descrivevano i desideri dei bambini –la pace, il tornare alla pace – le preferenze sulle materie, la generale comprensione degli insegnanti della non eccellente rendita degli alunni o in alcuni casi il rinato entusiasmo per lo studio proprio nel momento in cui non c’erano altre distrazioni per l’infanzia  come TV, musica o gioco libero in strada.
Anche le università continuarono la propria attività di formazione, grazie al sostegno di atenei esteri e alla caparbietà dei docenti universitari. Le collaborazioni inter-universitarie fiorirono, molti studenti sarajevesi furono ospitati da atenei esteri dando luogo a una sorta di preludio dell’Erasmus. E nei giornali di quel periodo  venivano indetti continuamente bandi di concorso per l’ammissione universitaria e per l’assunzione di docenti ed assistenti universitari, a testimonianza del fatto che l’istruzione doveva andare avanti, anche nelle condizioni più sfavorevoli.
  ”A scuola di buona volontà: un appartamento, una classe” di M. F. (Tratto da Oslobođenje, 8 novembre 1992) Traduzioni: Giovanna Larcinese
Sono in 35.  E saranno, forse, anche di più. Amina, Boris, Aida, Acim, in modo disciplinato ascoltano la lezione tra i banchi della scuola improvvisata. L’insegnante Danica Jankač nel periodo di pace ha lavorato nella scuola media di Dobrinja “Dušan Pajić Dašić” e adesso che Dobrinja è ancora più lontana, Danica ha deciso che il suo impegno lavorativo si svolgerà in un appartamento di Alipašino Polje.
Anche i suoi zelanti colleghi vengono a dare lezione. Safer Hrustemović due volte a settimana insegna ai ragazzi delle classi più avanzate la geografia, le scienze naturali, la storia e le scienze sociali.  La chimica la insegna la professoressa Emilija Bandović. Si cercano però insegnanti di matematica e lingue straniere per le classi avanzate di scuola media.
In ognuno dei nostri palazzi residenziali ci sono circa due insegnanti, professori o pedagoghi; tuttavia sino ad ora solo in pochi sono riusciti ad organizzare, come Danica e Safet, una scuola nelle condizioni di guerra.
Nel piccolo appartamento, tra sette alunni della prima elementare, in quattro sono mancini. “Come certo saprete, gli psicologi prevedono per i mancini un futuro brillante o una caduta totale. Ma giudicando dalle abilità di questi bambini, sicuramente si avvererà la prima ipotesi!” afferma Danica.
In che modo agli alunni sarà riconosciuta legalmente questa istruzione non ancora è dato sapersi. “Noi insegnanti lavoriamo a programma ridotto. Ad esempio, l’educazione artistica io la programmo strada facendo, mentre i bambini disegnano gli insiemi matematici. Invece sarebbe fantastico se si potessero comprare o stampare i libri di testo per loro. I più ricercati sono quelli di lingua madre e di matematica” dice l’insegnante.
E in questi difficili tempi di guerra i genitori di ogni bambino hanno il compito di portare i piccoli a lezione e riportarli a casa, per quanto la vicinanza lo renda possibile.
Giovanna Larcinese, BOSNIA: Sarajevo, cultura e guerra. Un appartamento, una classe, "East Journal", 23-11-14. 

Che Paese è mai questo ?

Alla fine ce l’hanno fatta: hanno rottamato gli elettori. La maggioranza degli Italiani non vota più. Ma, a ben guardare, questo non appare un problema per l’attuale classe dirigente renziana. Matteo Renzi ha messo alla berlina le tradizionali forme di partecipazione alla vita pubblica. Il dissenso politico viene bollato a suon di “gufi rosiconi” e i lavoratori in piazza, trattati al pari di parassiti contrari al “nuovismo” renziano.
Dall’Italia “s’è desta”, all’Italia “s’è rotta”.
Si è rotto quell’intimo sentore che univa i cittadini alle sorti del Paese. Un Paese che sempre meno Italiani sentono proprio. Basti guardare ai tanti giovani che partono per trasferirsi all’estero, facendo dell’Italia il meridione povero d’Europa.
Disillusione e nichilismo in questo secondo decennio del nuovo millennio che, a dirla tutta, appare oramai sin troppo vecchio. Checché ne possa dire Renzi, non basta un I-Phone, per quanto ultra-leggero ed ultra-piatto, a proiettarci in una nuova stagione. Lui è il prodotto del vecchiume democristiano al cubo, cresciuto guardando la Tv del Biscione.
Renzi ha vinto due volte. La prima, scalando il Pd e il Paese. La seconda, non avendo alcun serio e credibile avversario politico a contendergli la vittoria. E questo è un problema. Non tanto per lui che, avendo un ego smisurato, può illudersi di essere l’uomo della Provvidenza, quanto per la vita democratica del Paese. La mancanza di valide alternative al potere è il difetto più grande di una Democrazia. Almeno di una Democrazia occidentale.
Ma il problema si pone anche strategicamente. All’epoca della politica come prodotto di consumo, serve un contender da contrapporre al leader designato E lo sa bene chi muove i fili del burattino di Rignano sull’Arno. Così, con la preziosa collaborazione dei maggiori media nazionali, si sta somministrando il prodotto “Matteo Salvini”. Un utile idiota, ben contento di recitare la parte in scena, destinato a vestire i panni dell’avversario alle prossime elezioni politiche. Ma basterà questo a portare gli elettori alle urne? Sarà credibile un Renzi che urlerà al pericolo “verde”? Probabilmente no.
I fatti ci dicono che, con questo alto tasso di astensione, Matteo Renzi è destinato ad essere un leader dimezzato, non potendosi mai proclamare il Presidente della maggioranza degli italiani. Semmai, lui è il campione di un certo potere che non ha mai creato lavoro, né sviluppo e che ha trovato un nuovo corpo nel quale incarnarsi per la propria auto-conservazione. Ma anche a questo potere serve pur sempre l’affluenza alle urne.
L’astensione è segno di disagio sociale. Un disagio che, se non canalizzato nelle urne, rischia di finire nelle piazze. E laddove si sbeffeggiano gli unici attori ad oggi capaci di veicolare democraticamente tale scontento, ovvero i sindacati, si rischia che sfoci in altre vie di espressione, non propriamente pacifiche ed arginabili. Ed allora si ripiomberebbe in un’epoca buia e dolorosa.
Matteo Renzi ha annichilito l’elettorato più fedele che l’Italia abbia mai conosciuto: quello di Sinistra. Lui, con i suoi accondiscendenti accoliti, ne ha smontato pezzo dopo pezzo tutti i punti di riferimento. Lui, coi suoi riciclati, indagati, condannati, ne ha spezzato la volontà di immaginare un Paese migliore. Il Paese non risponde più. E’ democraticamente morto, perché ne rifiuta gli strumenti di partecipazione elettorale.
Un altro ventennio si profila all’orizzonte. Ma questa volta nel disinteresse della maggior parte degli elettori. Matteo Renzi è un uomo solo al comando.
Solo, perché abbandonato dalla maggioranza degli Italiani, che assiste silente alla sua parabola. 

Enrico Pazzi, Hanno rottamato gli elettori, "Roma Today", 24-11-14.

sabato 22 novembre 2014

L'Italia sarà costretta a lasciare l'Euro ? Qualcuno è convinto di sì.

La crisi continua a mordere, gli indicatori economici continuano a prevedere tempi bui per l'Eurozona e l'Italia in particolare e la fine del tunnel appare sempre più lontana: così si rincorrono previsioni più o meno autorevoli anche sulla moneta unica o sulla fuoriuscita di alcuni Paesi dalla stessa. Dopo il vaticinio degli inglesi del Guardian, secondo cui entro due anni l'Italia tornerà ad avere la lira come moneta corrente, ecco ora l'economista francese Jacques Sapir - uno dei maggiori avversori della moneta unica dopo esserne stato tra i più accesi fautori - affermare che l'Italia uscirà giocoforza dall'Euro. Dicendoci anche la data: la prossima primavera.


DRAGHI E LA BCE - Del resto l’annuncio del governatore della BCE, Mario Draghi, di un nuovo piano di stimoli monetari per evitare la caduta dell’Eurozona in una nuova recessione, potrebbe essere letto come un tentativo estremo di Francoforte di mettere in sicurezza il nostro paese e - in misura minore - la Francia da nuovi attacchi finanziari. Senza un miglioramento visibile del pil nei prossimi mesi (ma nel quarto trimestre, stando al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si dovrebbe registrare una nuova caduta), con una disoccupazione ai massimi storici e con quasi la metà dei giovani senza un lavoro, con un debito pubblico che punta dritto al 140% del pil (con buona pace del ricalcolo statistico del prodotto interno lordo), la situazione economica, sociale e politica del nostro paese non sarebbe più sostenibile.


SAPIR E I CONSIGLIERI ECONOMICI DI RENZI - Sapir ha parlato chiaramente di "uscita dell'Italia dall'Euro nella primavera 2015", e pur non citando le circostanze e non facendo nomi, aggiunge qualche particolare di non poco conto: da alcuni colloqui tenuti con i consiglieri economici del governo Renzi emergerebbe il loro pessimismo sul futuro dell’economia italiana, tanto da avvertire che l’uscita dall’euro sarebbe inevitabile tra pochi mesi, senza un drastico cambiamento di impostazione della politica tedesca.

PROSPETTIVE - Se le dichiarazioni di Sapir, almeno per quanto concerne le fonti, lasciano il tempo che trovano, i numeri del Fondo Monetario Internazionale sono purtroppo decisamente più oggettivi, e stimano che nel 2019 il nostro pil sarebbe inferiore a quello del 2007 del 3,5%. In sostanza, 12 anni di recessione cumulata (ma potrebbero essere di più), il periodo più lungo mai visto per una grande economia, nemmeno sotto la Grande Depressione del 1929.


Vedi anche:


"Italia fuori dall'Euro nella primavera del 2015". Parola di economista, "Qui Finanza", 20-11-14.

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Sotto, video sulle conseguenze provocate dall'Euro in alcune economie europee  (tra cui la nostra):