Come ha scritto Giorgio Israel: "Non ci sono parole. Queste sono le mani in cui è la scuola italiana. Tanto per confermare il detto che al peggio non c’è mai un limite.".
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Non basta il suono di una campanella per fermare l’energia che si crea, cresce e muove in una scuola per poi contagiare il mondo fuori. Ho partecipato anche io ad occupazioni ed autogestioni scolastiche. Esperienze di grande partecipazione democratica che ricordo con piacere.
In alcuni casi più formative di ore passate in classe. Io le “istituzionalizzerei” pure, se non fossi convinto di svilirne il significato. Il governo crede così tanto nell’autonomia scolastica che pensiamo che i singoli istituti potrebbero prevedere, se lo ritenessero utile, momenti simili, di autogestione programmata, come esperienza curricolare da far fare ai ragazzi.
Scuola è didattica, scuola è studio, ma non può essere solo ragazzi seduti e cattedra di fronte. Io ho maturato la mia voglia di fare politica, proprio durante un’occupazione.
E chissà quanti hanno cominciato a fare politica, o vita associativa, o hanno scoperto la passione civile, proprio partendo da questa esperienza. O ancora, quanti sono diventati leader in un’azienda, dopo essere stati leader durante un’occupazione studentesca. Anche in quei contesti si seleziona la classe dirigente. Quanto valgono poi, le notti passate a dormire in istituto. Io le ricordo ancora oggi nitidamente. Ricordo ragazzi del mio quartiere, che non potevano permettersi nemmeno un campeggio, aver passato l’esperienza più bella della propria adolescenza, dentro i sacchi a pelo in quelle classi che per una volta apparivano calde e umane. O quanti amori si sono consumati in quei sacchi a pelo e quante ragazze o ragazzi hanno trovato la propria anima gemella.
Una scuola, la sua struttura, i suoi laboratori, le sue palestre, le sue persone migliori non possono chiudere un secondo dopo il suono della campanella. Pensate che spreco in quartieri come lo Zen a Palermo o Scampia a Napoli, Quarto Oggiaro a Milano o Corviale a Roma. Il degrado e l’abbandono oltre l’inferriata, mentre potrebbe esserci l’armonia in quegli istituti.
Durante la consultazione per “La Buona Scuola” le assemblee con gli studenti sono state magari le più difficili, ma spesso le più interessanti, quelle da cui ci sono arrivate le proposte e le critiche più innovative. Ovviamente là dove ci hanno portato le loro idee e non ripetuto a pappagallo quelle degli adulti.
Quando non sono la moda del “liceo dei fighetti”, non sono fatte per scimmiottare i loro padri e i loro nonni, quando non sono la ripetizione stanca di un rito d’altri tempi; quando non sono caricature, le occupazioni e le autogestioni sono fenomeni spontanei e vanno prese sul serio. E noi prenderemo sul serio chi ha qualcosa da dire, rifiutando ogni forma di violenza e devastazione. La scuola è un bene comune: chi lo deturpa o - peggio - lo vandalizza si esclude dal confronto e merita solo la punizione più severa prevista dalle nostre leggi.
Nessuna istigazione ad occupare le scuole, ovviamente. Vorrei evitarmi la solita ramanzina di Giorgia Meloni, che dopo aver detto a Del Piero in che squadra deve giocare, dopo che ha spiegato ai genitori e ai bambini come essere felici, spieghi a me che devo essere responsabile e non spingere i ragazzi all’anarchia e alla rivoluzione. Ma i ragazzi sappiano che se ci chiameranno nelle loro scuole per discutere o per contestare la riforma, il governo sarà lì. Parteciperà alle assemblee studentesche per promuovere le sue idee, per ascoltare nuove e migliori proposte.
La politica non può avere paura di nessun luogo di confronto civile e democratico. Maggiormente se ispirato dai ragazzi. Molti di loro non saranno mai in nessun circolo di partito. Alcuni si rifiutano di leggere i giornali e non guardano i talk show in tv perché sdegnati dalla politica. Magari qualunquismo e disincanto hanno prevalso nelle loro menti. Se quei momenti contribuiranno a superare la rassegnazione e l’apatia, se stimoleranno la partecipazione, il governo ha il dovere di esserci.
Ascolto, ascolto, ascolto. È questo il metodo che ci siamo dati per tutte le riforme messe in campo. Naturalmente, la democrazia funziona se ad un certo punto si smette di discutere e si decide. Anche questa è una prerogativa alla quale il governo Renzi non è mai venuto meno: se non si decide si è irrilevanti e inutili e non ce lo possiamo permettere. A maggior ragione se è in gioco la cosa più preziosa che abbiamo: la nostra scuola, il nostro futuro.
Davide Faraone, Le occupazioni scolastiche, una lotta all’apatia, "La Stampa", 1-12-14.
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