«Vengo da una cultura basata sulla tradizione orale e posso testimoniare sulla mia pelle che quando un anziano muore è davvero una biblioteca che brucia: ciò che voglio fare è salvare questa biblioteca». Ha le radici ben salde nel sue origini senegalesi e uno spiccato accento sardo che racchiude l’essenza dei suoi ultimi 20 anni Cheick Tidiane Diagne, immigrato in Italia nel ’92 con una laurea in Economia e commercio e una gran voglia di fare. Prima Roma, poi Brescia e infine la Sardegna, alla ricerca di una cittadina non troppo grande per potersi sentire una persona e non un semplice numero. Ed è proprio fuori dalla stazione di Nuoro, appena arrivato, che la sua vita prende una svolta inattesa e poetica. «Ehi Babbo, sai indicarmi la strada? Con tutto il rispetto che provo per chi è più anziano di me ho chiesto un’informazione alla prima persona che ho visto: lui mi ha preso per mano e mi ha accompagnato. Lì è nata la nostra amicizia».
L’uomo incontrato per caso era Tziu Antoni Cuccu, editore indipendente che con la sua Bianchina girava per i paesi più sperduti dell’isola alla ricerca di gare poetiche sarde. Per poi trascrivere, tradurre e stampare i versi ascoltati. «Grazie alla generosità di un maestro di Nuoro in pensione in sei mesi ho imparato l’italiano, e appena potevo andavo da Tziu Antoni, che mi declamava i versi più belli, mi parlava dei suoi libri, mi immergeva nella cultura sarda». Nel 1996 Tidiane realizza il suo sogno, e anche lui con la sua automobile inizia a vendere libri per i mercatini. E nel 2003, quando Tziu Antoni muore, sceglie di prendere in eredità la sua missione: acquista dalla famiglia tutti i volumi rimasti, continua nella raccolta di poesie locali e con il suo banchetto e il suo sorriso diventa un baluardo della lingua sarda. La storia del «Afro-barbaricino», come ama definirsi, è ora diventata un cortometraggio grazie ad un progetto chiamato «FOQS», che ha lanciato anche un crowdfunding per permettere al librario itinerante di ristampare i libri di Tziu Antoni. «Quello che lui ha trasmesso a me, io voglio trasmetterlo agli altri: non c’è integrazione più bella di questa».
Federico Taddia, B come Babbo, "La Stampa", 30-11-14.
Sono rimasto affascinato da questa storia, che ha del surreale ,una favola dei vecchi tempi,oserei dire magica. Mi piacerebbe credere che moltissime altre storie di immigrati e di integrazione avessero una svolta costruttiva e perché no, un lieto fine. In barba ai vari Salvini o chi fa politica per screditare il più debole per ricavare consensi.
RispondiEliminaQuesti racconti sono da esempio e non vanno mai dimenticati. Utili per testimoniare che la vita non è solamente fatta di qualunquismo e indifferenza, come certi personaggi ci vogliono trasmettere, ma anche di amicizia e carità . Comunque, agendo coscienziosamente , manifesto la volontà di un agire onesto e imparziale .Non sempre le cose vanno come mi (ci) piacerebbe. Basta andare qualche ora di sera nei vicoli di alcune zone della movida romana(Pigneto per esempio), per constatare con i proprio occhi che molti immigrati si cimentano nello spaccio e sguazzano nell’ illegalità. Anche queste sono storie di esseri umani che vivono ai margini della società, con tante difficoltà,non lo nego, ma non per questo bisogna permettere che agiscano in tal modo. Concludo asserendo che una mano va sempre tesa a chi cerca speranza, riscatto e una nuova possibilità. Ma per farlo è necessario che la scintilla venga soprattutto da chi ha trascorso parte della propria esistenza nel disagio e sia pronto a impegnarsi nella costruzione del proprio futuro insieme a chi lo accoglie, nel rispetto delle regole. Altrimenti faremo, a parer mio, solamente della demagogia al contrario.
Fabio Felici 5a. E-mail fabiofelicirai@yahoo.it
Mi rende molto felice sapere che ogni tanto qualche immigrato riesce a integrarsi perché ancora oggi è veramente difficile. Purtroppo questo è un caso raro.
RispondiEliminaL'Italia è un Paese dove ci sono comportamenti di intolleranza tra gli italiani stessi e sono tanti i fattori che portano gli italiani all'insofferenza verso gli extracomunitari.
Uno fra tanti è il problema lavoro. La maggior parte di immigrati che arriva in Italia accetta lavoro in nero, che non è sicuro , che è sottopagato e cade nella mano di organizzazioni criminali. E nonostante questo, l'idea più diffusa è che lo straniero viene a "fregare" il lavoro dimenticando che gli italiani si rifiutano di fare questi lavori, quindi la loro viene vista come un invasione.
Questa non è integrazione , questo è schiavismo.
La mentalità occidentale è questa: non si fa niente per niente. Quello che ti serve devi guadagnartelo.
Viviamo in una cultura dove per sopravvivere bisogna lottare ogni giorno, essere competitivi altrimenti si è esclusi.. Gli immigrati non riescono a integrarsi perché è diverso il modo di concepire il tempo, la vita in generale, il differente modo di vivere a livello economico e sociale.. qui si pensa molto in termini economici e non in termini di comunicazione..
Noi ci fermiamo alla prima accoglienza, finita questa, diciamo arrangiati.. E purtroppo questa è l'amara verità..
Musardo G. III N