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domenica 5 aprile 2015

Sempre più robot nella vita di ogni giorno.

iRobot, l’azienda statunitense celebre per essere l’artefice dell’aspirapolvere Roomba, un congegno dotato di un’intelligenza artificiale e in grado, una volta messo in moto, di pulire i pavimenti senza bisogno dell’intervento di alcun operatore umano, ha lanciato la settimana scorsa le ultime linee di prodotti per il mercato europeo: il Roomba 800, che alle normali setole sostituisce dei cilindri rotanti e degli “estrattori ad aria”, in gradi di risucchiare e sbriciolare la sporcizia raccolta e lo Scooba 450, un robottino per la pulitura con acqua dei pavimenti, presentato al Ces di Las Vegas lo scorso gennaio.  

Nella conferenza stampa non si è parlato comunque solo di aspirapolveri. Quello di iRobot, con un’esperienza più che ventennale nel settore della robotica, 500 dipendenti e 484 milioni di dollari di fatturato nel 2013 e un patrimonio di brevetti che, secondo una classifica del Wall Street Journal la colloca quinta al mondo – davanti a Samsung – per valore della proprietà intellettuale, è un osservatorio privilegiato per capire come i robot stiano iniziando a fare il loro ingresso in massa nell’industria. Un ingresso profetizzato da tempo, ma finora in larga parte soltanto abbozzato. Abbiamo incontrato a Monaco l’amministratore delegato e co-fondatore dell’azienda, Colin Angle, per farci raccontare come stia cambiando il panorama dell’automazione e cosa dobbiamo aspettarci dall’entrata in massa dei robot nelle nostre vite. 

Nella presentazione accennava al fatto che l’atteggiamento generale verso la robotica è cambiato, negli ultimi tempi. Ci può illustrare meglio quel che intendeva?  
“È l’intera industria ad essere differente. Il fatto che Google e Amazon abbiano investito in maniera massiccia in questo campo ha portato tutti a guardare questo settore con maggiore rispetto. Penso che credano che, quando il settore del mobile comincerà a rallentare la sua crescita, quella dei robot potrebbe essere la prossima cosa importante. Inoltre noto che, negli ultimi tempi, parlando con gli investitori mi fanno molte più domande sulla nostra tecnologia che sui dati di vendita, vogliono sapere quali sviluppi possono e quali nuove applicazione possono esserci, più che chiedermi semplicemente: “quanti robot pensate di vendere in Italia quest’anno?”.  

A volte non è facile capire cosa si intenda esattamente per “robot”, quali caratteristiche debba avere una macchina per poterla considerare tale. Lei come lo definirebbe?  
“La mia risposta è una tecnica, direi una macchina che usa dei sensori per percepire l’ambiente circostante e un’intelligenza artificiale per pensare a quello che vede e dei motori per spostarsi dove necessario. È una buona definizione, ma tutto sommato forse è una definizione troppo ampia; penso che si potrebbe dire che è qualcosa che comunica un senso di “vita”, una macchina che risponde all’ambiente in maniera simile a un organismo vivente. Penso però che questo stia cambiando; moltissime macchine stanno incorporando una qualche forma di intelligenza per cui diventerà sempre più difficile distinguere ciò che è un robot da ciò che non lo è”. 

Conta anche l’aspetto antropomorfo? Un tempo si pensava che rendere i robot più somiglianti agli umani, potesse servire a renderli più accetti.  
“Penso che quella dell’antropomorfismo sia una limitazione non necessaria. Non c’è un motivo particolare perché non possa essere utilizzato, ma penso che spesso il modo con cui ci avviciniamo a un problema sia “cosa farei io?” e quindi si progetta un sistema che si comporti allo stesso modo. Ma questa non è quasi mai la soluzione giusta. Oltre a ciò che il rischio che se li si rende troppo simili a un umano, da interessanti diventino grotteschi. Se stessi seduto qui e la mia faccia fosse rigida, di plastica, non le sembrerebbe bello, ma fastidioso, l’obiettivo è quello di avere un robot che abbia degli elementi che tu possano renderlo riconoscibile, per esempio qualcosa che assomigli a una testa, a cui parlare. O qualcosa che assomigli a un corpo. Ma non dovrebbe essere troppo simile a una persona. Abbiamo fatto degli esperimenti molto interessanti con il robot Ava (un robot adoperato per effettuare diagnosi mediche a distanza n.d.r.). La prima volta che l’abbiamo portato negli ospedali non aveva la “pelle”, solo metallo e cavi, e la gente era molto scettica. Ci dicevano “si muove troppo velocemente” oppure “mi sta troppo vicino”. Abbiamo messo una copertura e l’abbiamo riportato lì, e questi difetti sono scomparsi. Il look del robot perciò ha un effetto su come viene percepito, ma basta avere una rappresentazione stilizzata di un essere umano, non serve che sia troppo simile”.  

Cosa ne pensa di Ray Kurzweil e delle sue teorie sulla singularity, il punto in cui le macchine svilupperanno una loro forma di auto-coscienza?  
“Penso che il futuro sarà molto più strano. Molto prima di raggiungere una qualche singularity dovremo abituarci al fatto che la tecnologia possa essere impiantata nel nostro corpo. Oggi ci sono molte ricerche sul fatto di poter rimpiazzare la perdita dell’udito con un orecchio robotico, o quella della vista, con un occhio robotico. O un braccio robotico controllato con la mente, e così via. Ma questo darà origine a una serie di questioni. Cosa succederà quando tuo figlio verrà da te e ti dirà: papà voglio sostituire il mio braccio con uno robotico perché ha un aspetto migliore ed è dieci volte più potente? L’idea che la tecnologia possa arrivare a un punto in cui sia migliore dell’originale è qualcosa a cui ci dovremo rapportare e chiederci: è quello che vogliamo? A me piace essere umano e penso che i robot debbano servire soprattutto per agevolare la vita delle persone. In un’epoca di aumento della vita media, dobbiamo trovare ad esempio un modo di permettere a persone anziane di andare al bagno o spostarsi senza dover ricorrere a personale umano, che magari non si potrebbero permettere”.  

E per quanto riguarda la cosiddetta disoccupazione tecnologica? I robot da voi creati non eliminano posti di lavoro? Per esempio, un robot come lo Scooba, che pulisce i pavimenti, non sostituisce almeno in parte la donna delle pulizie
“È una domanda difficile. La lavastoviglie ha creato problemi di disoccupazione? Di solito si pensa che abbia dato al contrario nuove opportunità alle donne di cercare un lavoro fuori da casa. Man mano che sviluppiamo strumenti per eliminare la fatica, si creano nuove possibilità di impiegare quel tempo. Oltre a ciò, in molti paesi sviluppati, è difficile trovare personale che sbrighi le faccende più umili. Non si tratta quindi di rimpiazzare i lavoratori, ma di dare la possibilità a più persone di accedere a servizi che non si potrebbero permettere per via del loro budget o del loro stile di vita. Una volta stavo facendo un’intervista radiofonica e un ascoltatore è intervenuto dicendo: “ho perso il mio lavoro, a causa di un robot. Oggi lavoro a costruire robot, e mi pagano molto di più!”. Stiamo creando una nuova industria che creerà migliaia, milioni di posti di lavoro e sono molto fiero di far parte di questa rivoluzione”. 

Federico Guerrini, Dacci oggi il nostro robot quotidiano, "La Stampa", 11-03-14.

2 commenti:

  1. Non posso nascondere di non essere preoccupato nel pensare che in un futuro non lontano, saremo governati da dei robot.

    Per carità, utili e necessari per diversi aspetti,ma problematici verso altri.

    Utili si, se si pensa che potrebbero prendere il nostro posto nello stare vicino ai nostri genitori oramai non più autosufficienti. Potrebbero lavare, stirare e persino cucinare al posto nostro facendoci risparmiare molto tempo nel quotidiano. Anche perché no, nei lavori più faticosi tipo tagliare il prato, pulire la piscina ed altro.

    Ma cosa accadrebbe se i robot iniziassero a pensare da soli?

    Nei prossimi anni, dunque, le macchine e i programmi sostituiranno non solo i lavoratori meno specializzati, ma anche gli impiegati con la conseguenza di una disoccupazione a lungo termine.

    Oppure l'innovazione tecnologica cancellerà alcune professioni, ma ne creerà di nuove? Per i lavoratori, dunque, sarà inevitabile adattarsi al nuovo scenario, puntando su qualità che solo le persone possono avere e non le macchine.

    L' intelligenza artificiale è sicuramente una grande sfida che può portare a benefici inaspettati.

    E' però preoccupante pensare che se questi robot iniziassero a pensare da soli, non essendo umani adotterebbero solo comportamenti idonei e leciti senza mischiare, com' è nel nostro genere umano, un pochino di umanità.

    Ma cosa ci riserverà il futuro?

    Mattia Fasolo
    5°A Serale

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  2. Non credo che i robot abbiano o avranno mai la facoltà di pensare.In sostanza sono semplicemente dei computer che si muovono e che rispondono a domande con risposte predefinite quindi per rispondere all'altro ragazzo che ha commentato fortunatamente non siamo in Matrix (ovviamente senza offesa) quindi le probabilità che i robot ci rendano schiavi sono pari a zero.Mi trovo d'accordo con lui sul fatto che ridurrebbero le nostre fatiche "umane" e che potrebbero sostituirci come forza lavoro,ma un automa non è un essere senziente e senza di noi non potrebbe mai funzionare.Abbiamo bisogno gli uni degli altri.
    Simone Atzu 3Ns

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