Prima di partire per la Polonia e visitare
i campi di concentramento, ho letto diversi libri sull’argomento e sulla seconda guerra
mondiale.
Ho potuto vedere Primo Levi, svolgere il
suo esame di chimica vicino la fabbrica di Buma, dove gli era stata strappata
la fede in Dio e torturata l’anima per mesi e mesi
Ho potuto sentire (sempre tramite questi
libri) il padre di Elie gridare moribondo il nome di suo figlio e questi non
poteva far altro che guardare mentre un ufficiale lo colpiva a morte.
Tutto questo sicuramente mi ha aiutato a
comprendere almeno una minima parte di quella che doveva essere la “vita” nei
campi.
Appena arrivati a Cracovia abbiamo visitato
la Sinagoga e il quartiere Casimiro (ebraico). La sinagoga è stata ricavata da
una vecchia stalla in disuso, ne avevo visitata una quando ero piccolo e non ne
ricordo molto, visitarla è stato… quasi
incoraggiante, per il fatto che alla fine il bene abbia trionfato dopo quegli
anni di nera follia. La sua porta alta e importante, l’aria solenne, il nome di
Dio scritto in ebraico a primeggiare su ogni cosa, lasciavano sperare nella
quiete dopo il passaggio della tempesta. Cose sconcertanti si possono vedere
ancora oggi per le vie del posto. Il
muro fatto dai tedeschi per dividere il quartiere è stato realizzato imitando
la forma tradizionale delle lapidi, un altro caso di gratuita crudeltà da parte
dei nazisti. Nel quartiere è stato
girato il famoso film “The Schindlers’s list”.
Questo è stato reso possibile anche dal fatto che l’urbanistica delle
case è rimasta quella di un tempo, oltre al fatto della fedeltà di quei luoghi
nel trattare l’argomento. Abbiamo potuto vedere nella Piazza centrale, un
memoriale dove al tempo della guerra c’era una famosa farmacia in cui il
farmacista nei tempi della deportazione offriva rifugio agli ebrei, per poi farli
nascondere tra le famiglie di contadini.
In questa farmacia
è passato anche il famoso regista Szpilman Wladyslaw, famosissimo per il suo
film, “Il pianista”, inoltre, la piazza è tutta adornata con statue
raffiguranti delle sedie, rendendo
omaggio a dei bambini ritratti in una vecchia foto, nell’atto di portare delle
seggiole scolastiche fuori della scuola, poiché non potevano più studiare
assieme agli altri bambini a causa delle questioni razziali. Dopo aver visto e
ascoltato la guida che spiegava queste cose siamo tornati in albergo.
La notte antecedente la mia visita ai campi
alloggiavo in un albergo di Cracovia e nel sonno fui vittima di in un incubo
agghiacciante, da cui mi svegliai fradicio di sudore e che mi lasciò attonito
per buona parte della mattinata.
Cercherò di riassumerlo brevemente: mi
trovavo a correre scalzo e a petto nudo su di una discesa non lontana da casa
mia. Il peggio sta nel fatto che, sull’asfalto, per tutta la strada c’era come
un tappeto di vetri acuminati e io ci correvo sopra! arrivato ad un certo punto
di questa discesa mi sono dovuto fermare, perché avevo le piante dei piedi
completamente consumate e sanguinolente, ma nel sogno non davo molto peso a
questo quanto al fatto di non poter proseguire la corsa.
Sveglia alle 5: 40.
In piedi alle 6 :30 e, dopo una doccia veloce, colazione con i miei compagni di camera, Jei e Gianluca; poi
tutti salimmo sul pullman, eravamo più di 400 persone organizzate su diversi
pullman. Ricordo il silenzio dei pensieri delle persone, che aumentava tanto
più ci avvicinavamo col mezzo a Birkenau, dove solo settant’anni prima furono
assassinate più di un milione di persone. La sola vista di quell’edificio, si
presentò in me cosi scomoda che sentii da subito il desiderio di voltare lo
sguardo altrove e correre via lontano da quel mostro.
All’interno del campo, una volta passati
con la guida sotto l’ arco d’ingresso da cui si levava non troppo alta una
specie di guardiola piena di finestre, ritrovai un po’ di pace, forse per via della
natura intorno, degli alberi, non so, forse mi ero talmente preparato al peggio
che fui rincuorato già dal fatto d’essere ancora vivo.
Cercherò di ripetere con la massima fedeltà
i racconti dei testimoni che ci hanno accompagnati in questa sorta di inferno
che è stato Auschwitz .
I loro nomi sono: Sami Modiano, Piero Terracina
e due sorelle, Tatiana e Andra Bucci.
Poi c’era anche la moglie di un altro
sopravvissuto alla Shoah e morto di
recente, di cui però, spero mi perdoni, non ricordo il nome.
Questi uomini e donne, sopravvissuti di
ieri, sono stati per noi in quel giorno come degli eroi, per il coraggio che
hanno dimostrato nel raccontare alcuni episodi terrificanti, che farebbero
asciugare la lingua persino all’oratore più preparato.
Ricordo la testimonianza del viaggio del
sign. Modiano, che era stato deportato da Rodi, quando la guerra stava ormai
per finire. I tedeschi all’epoca facevano, una propaganda fuorviante dei campi
di concentramento, ovvero li presentavano come dei posti dove si andava per
lavorare e dove i bambini potevano giocare insieme e cose del genere. Sami
Modiano aveva tredici anni quando fu caricato su un vagone per il bestiame, ha
detto che da come vennero trattati in quell’eterno viaggio da Rodi sino alla
Polonia, capì ben presto che non ci si poteva aspettare nulla di buono neanche
all’arrivo. Venivano trattati peggio che
animali, erano moltissimi su quel vagone, ora non ricordo i numeri, ma forse è
meglio cosi, spesso quando si parla di numeri ci si dimentica delle persone
dietro di essi. Gli venivano dati quattro secchi d’acqua al giorno ed un bidone
vuoto, per vagone, i convogli venivano
lasciati per ore sotto il sole cocente della calda stagione. Molti morirono di
stenti durante il viaggio, altri arrivarono ad Auschwitz già privi di dignità.
Dignità, la prima veste dell’anima. Da
questa parola, dignità, mi allaccio ad un’altra testimonianza, stavolta del
sign. Terracina:
- Fummo
presi in casa mentre festeggiavamo la pasqua ebraica, vennero in casa
alcune S.S. con le armi spianate, ci diedero venti minuti per fare i bagagli,
specificarono di prendere anche gli oggetti di valore perché nel luogo dove
andavamo ci sarebbero sicuramente serviti.
Ci portarono al carcere di Regina Coeli, immaginate per delle persone
cosi innocenti come potevano essere questi, padre e figlio, presi dal loro
ambiente famigliare e trascinati in galera.
- Mi fecero entrare per la schedatura; la
guardia fascista che avevo davanti mi faceva domande come l’età, la razza,
colore degli occhi e via discorrendo, poi mi fecero le foto, per ultima cosa mi
disse di mettere il dito su di un tampone intriso d’inchiostro e di rilasciare
la mia impronta sulla scheda, indicandomi il punto preciso. Rimasi immobile
come attonito, lui senza dar troppo peso a quella che poteva essere una mia
risposta di disappunto, mi prese il dito e fece per me quel gesto che a me
riusciva cosi difficile perché sapevo che quel gesto, quell’inchiostro,
divideva le persone “normali” dai criminali. Uscii da quella stanza sconvolto,
asciugandomi le lacrime. Mio padre se ne accorse e mi disse che qualunque cosa
sarebbe successa di lì in avanti avrei dovuto conservare sempre la dignità.
Ma come si può conservare la propria
dignità quando giunto il tuo turno dopo la fila per il rancio, ti ritrovi a
guardare negli occhi il tuo carnefice sperando dentro di te che raschi un poco
il fondo della pentola col mestolo in modo da poter mangiare qualcosa di più
sostanzioso .
Le sorelle Bucci hanno raccontato di essere
sopravvissute, perché furono scambiate per delle gemelle, a quei tempi c’era un
dottore nazista, Josef Mengele che ne
era ossessionato e adoperava questi malcapitati peri suoi esperimenti, una
aveva 6 Annie l’altra solo 4; sono state
separate dalla madre appena arrivate al campo. I loro ricordi vista la giovane
età forse fortunatamente per loro sono sbiaditi e frammentati una cosa che
hanno ricordato è che la sera giocavano con i cadaveri, che immagine terribile
è questa, due bambine chine vicino ad un morto senza paura.
Lì si viveva la morte ogni minuto
Il museo di Auschwitz è scioccante, si
incentra tutto sulla quantità di oggetti personali dei deportati: valige,
occhiali, scarpe, migliaia e migliaia di pezzi a ricordare di quanto l’umanità
è stata in grado di mancare a se stessa . Non potrò mai dimenticare la montagna
di capelli, in quella sala sembrava di non essere più in questo mondo poiché
cose di un mondo altro ci venivano mostrate in quel momento, tra noi occhi
lucidi e sguardi attoniti, e quasi la voglia di non essere presenti li, in
quell’istante.
Il giorno seguente abbiamo visitato la città
di Cracovia e tra chiese e monumenti abbiamo visitato il museo dove è custodito
un quadro di Leonardo Da Vinci,“La dama con l’ermellino”,
vedendolo ho provato un’emozione… una di quelle cose che non si riescono a
descrivere, lo dirò come forse lo direbbe un bambino: dopo tante cose brutte ho
visto una cosa bella. Questo può sembrare un pensiero quasi banale, ma vi
assicuro che vedere tanta bellezza e amore
in mezzo metro quadrato in rapporto alla smisurata dimensione dei campi
di concentramento, mi ha lasciato nel cuore un immenso sentimento di speranza
verso l’uomo. Perché quest’ultimo
purtroppo avvolte scende nei meandri dell’odio e della vergogna, ma è
capace anche di innalzarsi alla magnificenza divina che ho ritrovato in quel
quadro.
La spiegazione che ho saputo darmi rispetto
all’esistenza di tutto questo odio, che ha
causato la morte di tante persone
è che tutto ciò che esiste merita di esserci per il fatto stesso che c’è altrimenti non esisterebbe. Tuttavia
il mio cuore non contento cerca di dare lui una risposta e credo di poterla
interpretare in questo modo. Auschwitz serve a metterci in guardia verso ciò
che è stato perché non si ripeta, l’insegnamento che ne ho tratto è che bisogna
fare attenzione alle nostre idee perché tutto è partito da l’idea di una
persona frustrata che si è identificata in quell’idea e ne ha fatto la sua
crociata.
Auschwitz ci obbliga a guardarci dentro e vedere quella parte di noi che
non conosciamo, quella che dice sì davanti ad un’autorità anche non credendo a
quel sì. Questo spesso lo facciamo con cose di poco conto ma potrebbe capitare
che quel sì, passando come innocuo,
provochi danno a qualcuno, questo spesso accade negli ambienti malavitosi, nella
corruzione ed è ciò che è accaduto nella seconda guerra mondiale. L’obiezione
di coscienza: questo è l’insegnamento che Auschwitz mi ha dato.
Qui le foto che ho scattato durante il viaggio.