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lunedì 12 settembre 2016

Il web crea stupidi intelligenti ?

Ireneo Funes, eroe eponimo della memoria in eccesso, non aveva corpo. O, quanto meno, lo usava il meno possibile. Ricordando tutto di tutto, sino ai più minimi dettagli della più banale delle situazioni, ogni cosa e ogni percezione delle cose, ogni parola ascoltata, ogni sentimento provato, Funes preferiva vivere nell’oscurità, pensando il meno possibile, esistendo il minimo indispensabile. Troppe cose in mente per poterne immagazzinare di nuove. E poi: con quale principio ordinatore? Con quale metodo? Finiva così per essere – nota Jorge Luis Borges, suo visionario inventore – una pura voce: alta, nasale, burlesca. Effimera. 

Va tenuta presente, questa parabola iperletteraria, non foss’altro perché più volte Umberto Eco se n’è servito per spiegare il funzionamento della rete, i meccanismi di internet, gli effetti cognitivi ed estetici dei social network. Eco e Borges, i due autori massimi delle totalizzazioni impossibili – la biblioteca infinita, il labirinto semiosico, la mappa uno a uno, Menard che riscrive Cervantes… –, si sono incontrati anche così, condividendo il problema della memoria ambivalente: pochi ricordi rincretiniscono, troppi ricordi altrettanto. Quella che è senz’altro – quanto meno dai sapienti greci ai giganteschi serbatoi delle odierne macchine pensanti, passando per i big data dei cattivissimi dell’ultim’ora – la principale prerogativa dell’intelligenza e della conoscenza, della scienza e della filosofia, la memoria appunto, si trova costretta fra due idiozie opposte e complementari: l’incapacità cognitiva dello smemorato recidivo, la boria inutile di chi rammenta oltre il necessario.  


Funes considera gli umani, inguaribili distratti, esseri a lui inferiori. Ma ne ha istintiva paura, perché, diversamente da lui, sanno più o meno come vivere. Messa così, la vexata quaestio degli stupidi in rete – che Eco, provocandoci sino all’ultimo, ha voluto consegnarci – acquista una nuova forma. Si ricorderà la polemica che lo scorso anno, pochissimi mesi prima di lasciarci, una sua dichiarazione pubblica («internet è pieno di imbecilli!») aveva scatenato. Soprattutto, manco a dirlo, in internet stessa. Tutti a dire che non è affatto così, che il maestro una volta tanto ha toppato, che la rete è il migliore dei mondi possibili… e sorvolo sugli insulti. In una delle sue ultime «bustine» (che adesso chiude Pape Satàn Aleppe) lui aveva replicato, sornione, facendo una botta di conti: Facebook ha moltiplicato i bar dello sport, di modo che chiunque, a ogni momento, si sente in diritto di parlare a vanvera. 


Ma il dibattito è tuttora aperto, e serve per riflettere, oltre che sul web e i suoi cascami, sul senso profondo della stupidità. Tutt’altro che evidente. Musil, per esempio, osservava che non c’è peggior stupido di chi ostenta la propria intelligenza. Barthes ricordava che occorre sentirsi stupidi per esserlo di meno. E già Flaubert ripeteva che la vera idiozia consiste nel voler concludere. C’è di che. Quanto alla rete, se ne è detto di tutto e il suo contrario. Salutata al suo nascere come la panacea di tutti i tutti i mal di pancia ideologici, terreno dove la libertà di parola avrebbe foraggiato il peace-and-love post-californiano, è diventata l’inferno a cielo aperto dove ignoti oligarchi succhiano il sangue biancastro del popolo bue. Fosse soltanto cretineria. La dialettica fra apocalitti e integrati è viva e vegeta, ed è curioso che a starci dentro sembra esserci lo stesso Eco, che 50 anni fa l’aveva criticata.  

E qui entra in gioco un profeta poco ascoltato, quell’José Ortega y Gasset che nella Ribellione delle masse, 1930, aveva visto giusto: tutti siamo cretini e sapienti insieme. Un esperto di fisica subatomica farfuglierà scemenze sulle politiche internazionali. Un Premio Nobel in letteratura interverrà con imbarazzante cipiglio sulle scelte finanziarie planetarie. Un maturo ingegnere palpiterà leggendo alla fidanzata poesiole da quattro soldi. Come dire che non c’è sapientone che non sia imbarazzatemene stolto al di fuori del suo terreno di ricerca scientifica, non c’è pensatore heideggerianamente autentico che sappia far funzionare uno smartphone d’ultima generazione.  

Tutti però, ed è questo il punto, oggi si incontrano ardentemente sui social media. E non è solo un problema di numeri. Si scompaginano faldoni polverosi. Si riarticolano paradigmi acquisiti. Da una parte Facebook, Twitter e soci donano a chiunque la responsabilità di parola, assunta con leggerezza e insipienza, dando la stura alle opinioni più dure e più pure. D’altra parte questi cosiddetti media 2.0 ridimensionano tutti e subito, livellando ogni biodiversità culturale entro le griglie precostituite di un format adolescenziale. E tutto resta registrato, scritto, archiviato alla rinfusa ma comunque conservato. Parli chi può, gli altri dietro la lavagna: per far compagnia a quell’idiota di Funes. 

Eco aveva ragione: il web crea stupidi intelligenti, "La Stampa.it", 9-09-16.

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