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lunedì 24 novembre 2014

Studiare nella città sotto assedio. La lezione dei ragazzi di Sarajevo ai giovani d'oggi.

L’istruzione nella Sarajevo sotto assedio non si arrestò. Nonostante le difficoltà negli spostamenti per raggiungere scuole e università, la riluttanza dei genitori a mandare i propri figli a scuola -per non esporli al rischio dei cecchini-, la non facile gestione a livello ministeriale dell’istruzione in uno scenario di completa emergenza e il fatto che molte scuole, sia elementari che medie, si trovassero sulla linea del fronte, la popolazione si auto-organizzò in piccoli nuclei di quartiere, per non negare ai ragazzi il diritto all’istruzione e creando classi in appartamenti o cantine sotterranee. Tale fenomeno ebbe molteplici sfaccettature e motivi: i ragazzi dovevano distrarsi dallo scenario e allo stesso tempo non perdere l’opportunità di istruirsi e formarsi; gli insegnanti di contro inseguendo questa missione continuavano a lavorare, seppure con modalità del tutto nuove, distraendosi anch’essi dall’assedio e sentendosi attivi nel processo di continuazione dell’esistenza, della formazione di individui, e in ultima analisi di resistenza alla volontà di annientamento degli assedianti.
Per ragioni di sicurezza la durata dell’anno scolastico fu generalmente accorciata a mediamente cinque mesi, riducendo complessivamente i programmi di circa il 30%. I nuovi programmi, già concordati col ministero, puntavano in misura maggiore rispetto al passato, su lingua e letteratura locale, sulla matematica, sulla fisica e la chimica. S’incoraggiavano i genitori a mandare i  propri bambini a scuola e a organizzare gruppi di lavoro per l’esercizio e i compiti a casa, con l’ausilio di materiali da stampare e consigliando il buon senso per le postazioni militari in città.
In un articolo di Oslobođenje del 1993, dal titolo “Improvvisazione riuscita” la creazione dei nuclei scolastici negli appartamenti venne giudicata come un vero successo: grazie ai nuclei scolastici oltre 6000 studenti delle trenta scuole medie presenti in città furono ripartiti nelle settantacinque postazioni collettive di studio.
Oslobođenje più volte analizzò il fenomeno dell’istruzione in Bosnia nel periodo della guerra, con reportage che descrivevano i desideri dei bambini –la pace, il tornare alla pace – le preferenze sulle materie, la generale comprensione degli insegnanti della non eccellente rendita degli alunni o in alcuni casi il rinato entusiasmo per lo studio proprio nel momento in cui non c’erano altre distrazioni per l’infanzia  come TV, musica o gioco libero in strada.
Anche le università continuarono la propria attività di formazione, grazie al sostegno di atenei esteri e alla caparbietà dei docenti universitari. Le collaborazioni inter-universitarie fiorirono, molti studenti sarajevesi furono ospitati da atenei esteri dando luogo a una sorta di preludio dell’Erasmus. E nei giornali di quel periodo  venivano indetti continuamente bandi di concorso per l’ammissione universitaria e per l’assunzione di docenti ed assistenti universitari, a testimonianza del fatto che l’istruzione doveva andare avanti, anche nelle condizioni più sfavorevoli.
  ”A scuola di buona volontà: un appartamento, una classe” di M. F. (Tratto da Oslobođenje, 8 novembre 1992) Traduzioni: Giovanna Larcinese
Sono in 35.  E saranno, forse, anche di più. Amina, Boris, Aida, Acim, in modo disciplinato ascoltano la lezione tra i banchi della scuola improvvisata. L’insegnante Danica Jankač nel periodo di pace ha lavorato nella scuola media di Dobrinja “Dušan Pajić Dašić” e adesso che Dobrinja è ancora più lontana, Danica ha deciso che il suo impegno lavorativo si svolgerà in un appartamento di Alipašino Polje.
Anche i suoi zelanti colleghi vengono a dare lezione. Safer Hrustemović due volte a settimana insegna ai ragazzi delle classi più avanzate la geografia, le scienze naturali, la storia e le scienze sociali.  La chimica la insegna la professoressa Emilija Bandović. Si cercano però insegnanti di matematica e lingue straniere per le classi avanzate di scuola media.
In ognuno dei nostri palazzi residenziali ci sono circa due insegnanti, professori o pedagoghi; tuttavia sino ad ora solo in pochi sono riusciti ad organizzare, come Danica e Safet, una scuola nelle condizioni di guerra.
Nel piccolo appartamento, tra sette alunni della prima elementare, in quattro sono mancini. “Come certo saprete, gli psicologi prevedono per i mancini un futuro brillante o una caduta totale. Ma giudicando dalle abilità di questi bambini, sicuramente si avvererà la prima ipotesi!” afferma Danica.
In che modo agli alunni sarà riconosciuta legalmente questa istruzione non ancora è dato sapersi. “Noi insegnanti lavoriamo a programma ridotto. Ad esempio, l’educazione artistica io la programmo strada facendo, mentre i bambini disegnano gli insiemi matematici. Invece sarebbe fantastico se si potessero comprare o stampare i libri di testo per loro. I più ricercati sono quelli di lingua madre e di matematica” dice l’insegnante.
E in questi difficili tempi di guerra i genitori di ogni bambino hanno il compito di portare i piccoli a lezione e riportarli a casa, per quanto la vicinanza lo renda possibile.
Giovanna Larcinese, BOSNIA: Sarajevo, cultura e guerra. Un appartamento, una classe, "East Journal", 23-11-14. 

1 commento:

  1. In questo articolo quello che colpisce molto è la forza di volontà di emergere, di uscire da un periodo buio, non solo degli studenti, ma soprattutto dei genitori e degli insegnanti, il loro coraggio, determinazione, unità, ma anche umiltà e altruismo.
    Oggi gli italiani cosa difendono? L'ignoranza dei figli? E ne sono anche compiaciuti?
    Non si può più riprendere verbalmente questi ragazzi o addirittura stimolarli a migliorare il loro stato culturale, perchè si corre il rischio di essere fraintesi e di esercitare una violenza. E subito i genitori a prendere le parti del figlio che si crogiola su tanta maleducazione. Fermandoci ad analizzare tale situazione la domanda che dovremmo porre è: ma di questo passo dove andremo a finire ? Che grado di cultura avranno i ragazzi con tale comportamento ? Penso che il primo passo debba essere fatto dai genitori affinchè insegnino nuovamente cosa sia l'educazione ed il rispetto verso il prossimo. Purtroppo oggi questi principi sono andati scemando giorno dopo giorno.

    Fabio Felici 5a corso serale

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