La guerra ci ha resi tutti più ricchi e più sicuri. E se questa vi pare una provocazione, andate a leggere “War, What is Good For?”, il nuovo libro di Ian Morris, professore di studi classici all’università di Stanford, che spiega nel dettaglio perché invece è un dato di fatto scientifico.
Un elemento su tutti. All’epoca dell’Età della pietra, nonostante la popolazione mondiale fosse molto inferiore a quella attuale e le armi molto meno sofisticate, tra il 10 e il 20% di tutti gli esseri umani moriva di cause violente. Nel secolo scorso, nonostante le terribili stragi provocate dalle due guerre mondiali e le bombe atomiche, questa percentuale è scesa al 2%, e secondo l’Onu è calata ancora allo 0,7% dal Duemila in poi. In cambio, durante l’Età della pietra si viveva in media 30 anni, con un reddito equivalente a circa 2 dollari al giorno, mentre oggi i 7 miliardi di esseri umani che popolano la Terra vivono in media 67 anni, con un reddito medio di 25 dollari al giorno. Il motivo? Lo sviluppo della nostra società dovuto alla guerra.
L’analisi di Morris è radicata nell’evoluzione della storia. I conflitti, fin dall’alba della civiltà umana, hanno avuto alla lunga effetti benefici. La violenza ha prodotto molte vittime, ma ha anche costretto i vincitori a migliorare le strutture di governo della società, proprio per evitare di diventare vittime a loro volta. Questa stabilità relativa, ma sempre crescente, ha favorito anche la crescita economica. Per quasi sedici secoli i nomadi a cavallo che imperversavano in Europa, in altre parole i barbari, hanno sconvolto il mondo, fino a quando l’invenzione delle armi da fuoco ha consentito di bloccarli una volta per tutte. Da quel momento in poi gli Europei hanno cominciato ad esportare in tutto il globo la loro legge, basata sulla forza, ma anche la loro civiltà. L’umanità ne ha beneficiato, pagando un prezzo in vite umane sempre minore in termini percentuali, ma incassando benefici economici, tecnologici e culturali sempre crescenti.
L’Ottocento, dopo la sconfitta di Napoleone, ha rappresentato l’apice di questa tendenza. L’Inghilterra, unica potenza industriale, è diventata l’arbitro del mondo. Grazie alla forza si è imposta dall’India alla Cina, ma per poter commerciare ha aiutato anche lo sviluppo industriale di altre nazioni, come gli Stati Uniti e la Germania, che alla lunga hanno preso il suo posto o quanto meno l’hanno raggiunta in termini di ricchezza e influenza globale. Poi sono arrivate le due guerre mondiali, che hanno fatto milioni di vittime, ma sempre meno di quanto era accaduto nel passato, in termini percentuali. La società globale ne ha beneficiato ancora, continuando la sua corsa verso lo sviluppo e la ricchezza. Nel frattempo il numero delle persone che morivano per cause violente diminuiva, sempre in percentuale.
La Guerra Fredda ha accelerato ancora di più la crescita mondiale, in pratica senza fare vittime, e ha lasciato in eredità il dominio dell’unica superpotenza rimasta, gli Usa. Ora quindi siamo arrivati ad un punto di svolta decisivo. Gli Stati Uniti si trovano nelle stesse condizioni della Gran Bretagna alla fine dell’Ottocento, quando per commerciare aiutò molti altri paesi a crescere, ma poi non ebbe più la forza di fare il poliziotto del mondo, che con la sua forza garantiva la sicurezza di tutti. Se Washington seguirà l’esempio di Londra, si condannerà al declino e ad essere superato da qualche concorrente, tipo la Cina. Se invece avrà la volontà di continuare ad usare la forza, e in qualche caso la guerra, per imporre l’ordine che consente lo sviluppo, il mondo continuerà a crescere in termini economici, e a perdere meno vite in percentuale a causa della violenza innata tra gli uomini.
Paolo Mastrolilli, Così la guerra ha cambiato il mondo (in meglio), "La Stampa", 29-04-14.
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