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lunedì 6 ottobre 2014

Informazione: la rivincita dei canali tradizionali sulle nuove tecnologie.

Siamo immersi nelle informazioni, più spesso ne siamo sommersi. E forse non è un caso che i talk show, proliferati e spesso con medesimi format, conoscano un calo di ascolti e un esperto come Santoro annunci una sua sospensione. Oltre alla tv e alla radio, è la diffusione degli smartphone e dei tablet con l’integrazione dei social network a connetterci con il mondo. 
È il frutto delle nuove tecnologie della comunicazione. 

Le dimensioni dello spazio e del tempo si contraggono progressivamente, fino quasi ad annullarsi. Grazie a una connessione a internet possiamo essere aggiornati su quanto accade ovunque in qualsiasi momento. Ci inviamo messaggi ad ogni ora del giorno e della notte: siamo on line, viviamo un presente continuo. Così, la quantità di informazioni di cui disponiamo si è ampliata in modo esponenziale. Tuttavia, paradossalmente, la massa di dati che possiamo ottenere con questi mezzi, più che aiutarci a comprendere, spesso disorienta. A ben vedere, il volume di nozioni di cui disponiamo è inversamente proporzionale alla nostra capacità di scegliere e decidere. Abbiamo bisogno di selezionare una grande quantità di informazioni che giungono quotidianamente per poter costruire un nostro giudizio.  

Ma come fondiamo le nostre opinioni? Attraverso quali mezzi? L’indagine LaST (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa) ha affrontato questo aspetto, non tanto sul versante dell’utilizzo dei mezzi di informazione, ma su come riteniamo di formare le nostre opinioni, con quali modalità prevalenti. Gli esiti raccontano di prassi non scontate o che si potrebbe pensare ancorate a un passato che non c’è più.  

Eppure, sono due i modi principali mediante i quali gli interpellati ritengono di formare le proprie opinioni. Complessivamente (erano previste due scelte) il 57,6% trova nella lettura di quotidiani e riviste lo strumento di gran lunga prevalente per formarsi un’opinione, seguito dal 47,4% che dichiara di farlo riflettendo autonomamente. Più distanti e quasi appaiati troviamo internet e i social network (27,7%) e le discussioni con i familiari (22,2%). Alla televisione (12,6%) e alla radio (4,5%) non viene attribuito un ruolo così fondamentale nella costruzione dell’opinione.  

Come si può osservare, si tratta di una classifica rovesciata rispetto all’effettivo utilizzo. La stessa esperienza quotidiana offre episodi continui di persone che consultano spasmodicamente i telefonini o i tablet per seguire i fatti di cronaca. Per non dire dei televisori costantemente accesi. I veicoli odierni delle notizie sono sicuramente la tv, i social o la radio, ma non costituiscono uno strumento (l’unico) utile ad articolare una valutazione, un’opinione. Perché per sedimentarla ci vuole tempo, uno spazio dedicato e individuale di apprendimento. Viceversa, le nuove tecnologie di comunicazione si strutturano sullo scambio veloce e limitato (i famigerati 140 caratteri di un tweet): una forma quasi impressionistica e lapidaria di descrivere un evento. E in virtù della loro velocità, sono altrettanto rapidamente deperibili. A maggior ragione per la grande quantità che ne viene veicolata. Sbaglieremmo, però, se definissimo le nuove tecnologie dell’informazione solo per lo scambio rapido delle notizie. Perché esse tendono a integrare e connettere tanto le nuove forme della comunicazione, così come le più tradizionali. Nel tablet possiamo trovare i social, la radio, la televisione, i libri e i quotidiani: le vecchie con le nuove forme di trasmissione delle conoscenze. Queste interconnessioni spiegano, in realtà, gli esiti della ricerca CMR-Intesa Sanpaolo dove emerge come la formazione delle opinioni non avviene con modalità unidimensionali, ma seguendo molteplici canali. Sommando le diverse preferenze espresse, affiorano quattro tipologie di modalità di costruzione delle valutazioni.  

La più diffusa è quella del “multitasking” (37,7%): si tratta di quanti – per formarsi un’opinione – prediligono mixare discussioni con familiari e amici, letture di quotidiani e riviste con la consultazione di internet e dei social. I più propensi sono i giovani, i laureati, le donne, ma anche i pensionati. Il secondo gruppo è costituito dai “riflessivi” (32,4%): in questo caso annoveriamo quanti prima si attivano nel ricercare fonti di informazione multiple (discussioni, letture, internet), per poi riservarsi uno spazio autonomo di riflessione. In questo gruppo spiccano in particolare le generazioni più giovani (fino a 24 anni) e i 60enni. Gli “autodiretti” rappresentano il terzo gruppo (22,8%): per questi, la costruzione dell’opinione avviene in modo autonomo, senza accedere a fonti di informazione se non attraverso la fruizione passiva (tv, radio). Gli uomini, i lavoratori autonomi e i disoccupati e delle fasce di età centrali (35-54 anni) più di altri manifestano un simile comportamento. Infine, incontriamo i “passivi” (7,1%): si tratta di una quota marginale, non esigua, che ha nelle donne, casalinghe, ultra 65enni e con un basso titolo di studio, la prevalenza. 

La diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione amplia la possibilità di accedere a fonti informative. La formazione delle nostre opinioni passa attraverso questi strumenti, ma senza un’adeguata educazione alla loro fruizione possono essere utili a costruire un pre-giudizio, non un’opinione. 

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